Inverosimile. Irreale.

Amiche e amici, come state? Io bene, tranne per quella parte in cui un C@gli@ne (che saluto) dopo avermi aggredito, ha pensato bene di “denunciarmi”: troppo scosso dalla mia reazione (no gioco di mano) da non riuscire più a lavorare. Assurdo, roba da non credere ai propri sensi: inverosimile, irreale.

Untrue Unreal, è anche il titolo della straordinaria mostra che la superstar Anish Kapoor ha installato negli spazi rinascimentali di Palazzo Strozzi.
Opere grandiose, divertenti, disturbanti o intime, mettono in discussione le percezioni dello spettatore invitandolo a riflettere (e a riflettersi).

In quella tendenza tutta così WOWODDIO dell’arte contemporanea, dove lo spettatore è invitato a “prendere parte” alla finalizzazione dell’opera (è uno specchio, signora) e le opere sono qualcosa ma sembrano altro, incontriamo macigni di velluto blu, colonne di polvere, blocchi di cera che si autogenerano (dal sanscrito: “svayambhu”), pasticci di silicone e vetro-resina sanguinanti che sembrano cuori, stomaci e vagine (non sia mai che l’artista non faccia riferimenti alla madre, all’utero, al sangue, alla f.ca sempre presente fin dagli affreschi e dalle sculture rupestri), in un richiamo costante alla disgregazione, alla sensorialità, alla vita e alla morte.

Special mention: le c.d. “Black works”, le “Opere nere”, opere realizzate con l’innovativo Vantablack®, un materiale straordinario in nanotubi di carbonio, capace di assorbire il 99,9% della luce visibile, facendo letteralmente scomparire l’oggetto sul quale è posato. L’avevo visto in foto ed ero scettico, ma dal vivo amiche e amici è davvero impressionante e vale il prezzo del biglietto. Non fosse stato per la polvere depositata sopra e dentro le opere, non sarebbe stato possibile cogliere alcuna dimensionalità: come affacciarsi in un buco nero! Non vi capiterà, credo, mai più nella vita!

Nota dolente, se è vero che lo spettatore è ormai parte dell’opera, è altrettanto vero che TROPPI spettatori rovinano irrimediabilmente l’esperienza. Nonostante la carineria di tutte le ragazze e i ragazzi in servizio, trovarsi imbottigliati nelle sale insieme a comitive di decine e decine di studenti, di Hare Krishna, di cadetti delle accademie militari, di scout e processioni della Settimana Santa e di gruppi di coreani che si sono persi, non permette di godere del giusto mood di armonie zen, di rituali del sé, di riflessioni sulla caducità, la precarietà delle nostre miserabili vite e lo sviluppo dell’autocoscienza (a meno che non siate voi stessi gli scout a fare hike o gli orientali smarriti).

E voi, l’avete vista? Che ve ne pare? Termina tra poco!

P.s.: ma a propostito del mio collega, anche a voi capita che vi provocano, vi pungono, vi fanno reagire, poi reagite e si offendono se reagite?

P.s.”: a margine dell’Arte (che adoro), vorrei fare una considerazione che vuole andare oltre il ben noto “questo lo avrei fatto anch’io”, che contesto con tutte le mie forze. Anish Kapoor, che con l’arte si è comprato un palazzo settecentesco affacciato sul Canale di Cannaregio a Venezia, se si dovesse svegliare domani mattina e pensare: “vorrei fare un fagiolo di acciaio a specchio di 30 tonnellate da mettere in mezzo agli Champs-Élysées perché sì!”, glielo farebbero fare! Non solo: qualcuno gli darebbe i materiali, le maestranze, le pause caffé, una cassa di IPA, tutte cose, e pure un bilocale a Montmartre.

Ecco, anche io VI GIURO, ho decine di queste visioni ogni giorno e non è la fantasia che mi manca, ma i soldi. Chi me li fa questi specchi deformanti da trenta metri? E dove lo trovo un secchio di Vantablack®? Alla Nasa? A Le Roy Merlin?


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