
Amiche e amici, come state? Io bene, a metà strada tra Gaviscon e Biochetasi.
Sì perché la maledizione di noi sensibili è che le emozioni non ci attraversano: ci posseggono. Con questa inconsapevole peculiarità, abbiamo visitato per voi Emotion, L’arte contemporanea racconta le Emozioni, un evento curato da Danilo Eccher al Chiostro del Bramante.
Dopo i successi di Love, Enjoy, Dream e Crazy, questa mostra riunisce una ventina di opere, alcune site specific, di altrettanti artisti. Tutte legate da un comune filo conduttore che è, come esplicitamente riportato nel sottotitolo, relativo alle emozioni che l’arte racconta eccetera: sorpresa, confusione, desiderio, gioia, paura, attesa, angoscia, felicità, orgoglio, eccitazione, nostalgia, ammirazione, sollievo, tranquillità, imbarazzo. E, per quanto mi riguarda, è soprattutto quest’ultima l’emozione prevalente, insieme alla rabbia (non menzionata) per i diciotto euro b̶u̶t̶t̶a̶t̶i̶ spesi per questa (evitabile?) esperienza.
Ormai è uno standard: lo spettatore DEVE interagire con le opere o se no NON VALE. Interessante la Camera Picta di Piero Pizzi Cannella, le rifrazioni luminose e sonore di Alessandro Sciaraffa che produci tu stess* interagendo con il gong al centro della stanza, ma che male abbiamo fatto noi per meritarci funghi giganti tipo Gardaland o pannelli in plexiglass che rifrangono la luce? O stanzini con materassi buttati per terra con l’invito, fuori dalla porta, a “interagire” con chi ti sta vicino, amico o estraneo e vedere che cosa succede (tutto questo senza neppure delle telecamere a riprendervi, BAH!)? C’è anche una stanza in cui ti ci puoi stendere sui cuscinoni e lasciarti avvolgere da una proiezione estraniante in AI, che è cruda, disturbante, ma è la solita ciccia sul capitalismo, le classi sociali che si invertono, gli animali che si vendicano sull’uomo, e cose del genere. E che dire dei c.d. «bramantedoodles» di Nedko Solakov? Non vi voglio spoilerare altro. Prendetevi il vostro tempo e pensate: cosa potrei fare con diciotto euro? A TESTA EHI. Poi posso anche immaginare che l’artista si sia fatto anche pagare per fare degli sgorbietti sulle pareti delle scale, eh.
Così riporto dal sito della mostra: “(…) è un invito al viaggio, in una favola, in un altro viaggio, in un altro mondo, in un’altra meraviglia. (…)Un viaggio di emozioni che diventa relazione e interazione”. Io boh, non vedo più la realtà.
E che forse ci eravamo abituati a percorsi immersivi curiosi, sorprendenti e di qualità. Questa volta però, nell’attraversare le sale cinquecentesche e i corridoi, la sensazione di bluff che a volte accompagna certa arte contemporanea si fa assolutamente palpabile. Il mio cieco amore per essa ha vacillato e con questo la mia stupida pazienza. E questa cosa non ve la perdonerò mai.













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