



Amiche e amici, come state? Io bene, un po’ spiazzato dopo aver “litigato” con un tipo che diceva che il suo femminismo era più femminista del mio perché lui. “Di quale ondata sei tu?”, mi fa. E io: “ma io non sono di nessuna ondat…”, “SENTITELO IL QUALUNQUISTA!” a quel punto sono venute due mie amiche e lo hanno messo a posto (e a loro ha detto: “scommettiamo che sono ancora più femminista di voi?”, in coro: “SBAGLIATO”).
Ma a proposito di donne toste, abbiamo visitato per voi la mostra di Angèle Etoundi Essamba, ancora per pochi giorni al Museo di Trastevere in Roma., per l’occasione trasformato in un luogo di resistenza e forza interiore.
È un viaggio intenso, a tratti silenzioso ma sempre eloquente, vibrante, che riesce a fermare il tempo per raccontare non solo storie di donne, ma di mondi e culture che si intrecciano nella trama fitta dell’essere femminile. È qui, nel dialogo tra luci e ombre, che emerge la voce delle protagoniste: donne africane, viste e vissute attraverso l’obiettivo di una fotografa che sa ascoltare prima ancora di osservare.
Essamba non si limita a ritrarre volti, ma cattura essenze. E ciò che colpisce immediatamente, quasi come un pugno allo stomaco, è la dignità che trapela da ogni immagine. Ogni scatto è un atto di testimonianza. Queste donne “non si rivelano, ma si impongono”, e in questo senso Essamba diventa il loro tramite, il mezzo attraverso cui le loro storie prendono forma.





Uno dei momenti più potenti della mostra è l’opera Résistance. Il ritratto di una donna con un turbante avvolto intorno alla testa, gli occhi che fissano l’obiettivo con un’intensità disarmante. Qui, la resistenza non è soltanto una parola, ma una postura. La donna non ha bisogno di parlare: il suo sguardo è un grido di lotta e orgoglio. Le pieghe del turbante sembrano scolpire un passato che non ha mai smesso di farsi sentire.
Un’altra immagine che colpisce è Liberté. Qui Essamba gioca con il bianco e il nero in un equilibrio perfetto, dove il contrasto cromatico diventa simbolo della lotta per l’autodeterminazione. Una donna alza il braccio al cielo, il volto semi nascosto, come se la sua identità fosse una cosa secondaria rispetto all’azione stessa. È un gesto universale, una dichiarazione di sfida. La fotografia, qui, non è solo arte visiva, ma un ponte tra passato e presente. Il corpo che si muove nello spazio, che reclama il suo posto, così questo istante sospeso, dove la forza dell’immagine sta nella sua apparente semplicità.
O ancora Espoir, dove una giovane donna, velata ma con il volto scoperto, guarda in alto con gli occhi colmi di luce. È una fotografia che parla di futuro, di sogni che non si piegano sotto il peso delle difficoltà. Il velo, qui, non è un simbolo di costrizione ma di appartenenza. Essamba non giudica, non critica: celebra. La speranza non è solo una possibilità, ma un diritto. Questo sguardo è una finestra aperta su un mondo che ancora deve arrivare, ma che è già qui, tra noi, nei cuori di chi osa guardare avanti.



In questa mostra, Angèle Etoundi Essamba riesce a rendere visibile l’invisibile, a far emergere quella determinazione silenziosa che abita ogni donna. Sono immagini che parlano di lotta, sì, ma anche di bellezza, resilienza e speranza. L’essenza delle sue protagoniste non è tanto nei loro volti, ma nei gesti, negli sguardi e nei corpi che raccontano più di mille parole. Come direbbe qualcuno (io), queste fotografie “non si limitano a esistere, ma creano mondi”. E questi mondi, fatti di carne, sudore, lacrime e sorrisi, sono qui, pronti a essere accolti e ascoltati.
In questi scatti, ogni ruga, ogni linea del volto è memoria e speranza. Ogni volto un libro di storie mai dette, dove ogni parola non scritta è una promessa di libertà.
P.s.: come al solito, un particolare richiamo a chi cura gli allestimenti mannaggiavvoi, che illuminazione di merda GRAZIE


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