
Ciao amiche e amici, come state? E chi siete? Chi sono io? (Evitate risposte impulsive e ficcanti formate da due parole (3, 5) la prima forma aferetica di aggettivo dimostrativo, la seconda membro maschile (volg.). Negli ultimi tempi, cerco inutilmente di capire il perché dei fenomeni sociali, non è facile quando li guardi e basta e nessuno ti sa (o ti vuole) spiegare che cosa succede. Chi invece ti fa comprendere (e soffrire) le dinamiche contemporanee è Ai Wei Wei, con la sua tagliente, dissacrante ironia. La sua personale, Who I am?, ti guarda dentro e ti smonta, pezzo per pezzo: Ai Wei Wei è un artista cinese, attivista e dissidente. E, a quanto pare, anche un esperto di LEGO.
“Who am I?” è il tipo di domanda che ti fa sudare come quando ti chiedono “Dove ti vedi tra 5 anni?”.
Solo che stavolta a chiedertelo non è il tuo temporary guru, ma un artista che ha messo in crisi l’intero governo cinese.
Il titolo nasce — e qui la cosa si fa surreale — da un dialogo avuto durante la detenzione in carcere con un’IA, che, interpellata sull’identità dell’artista, risponde con una controsfida: “Who am I?”. Una battuta esistenzialista tra un uomo e un algoritmo. Sartre ne sarebbe fiero.
L’esposizione, un viaggio tra provocazione e poesia, si snoda tra installazioni monumentali, sculture, video e fotografie che invadono ogni angolo dell’elegante Palazzo Fava. Ai Weiwei ci porta in un viaggio che oscilla tra la tradizione e l’innovazione, la conservazione e la distruzione. Il titolo stesso, “Who am I?” solleva domande sull’identità nell’era digitale (cosa che stiamo facendo anche noi).



Un artista che trasforma il dissenso in estetica
Avvertenza: Se pensi che l’arte contemporanea sia solo una scusa per appendere una banana al muro e chiamarla “concetto”, preparati a ricrederti.
LE OPERE: DOVE I LEGO INCONTRANO LA LOTTA POLITICA

Alcune delle opere presenti, spiegate semplici:
Still Life (After Morandi)
Ricostruzione fedele delle iconiche nature morte di Giorgio Morandi in… LEGO. Un omaggio ironico e affettuoso, ma anche un modo per farci notare che ogni costruzione è anche una distruzione di qualcos’altro. Nulla dice “arte” come costruire con le costruzioni della tua infanzia.

Sleeping Venus with Coat Hanger
In un gesto decisamente duchampiano, Sleeping Venus di Ai Weiwei trasforma il mattoncino LEGO nel capolavoro rinascimentale di Giorgione “La Venere dormiente”. Così, la Venere, simbolo della bellezza rinascimentale, delle proporzioni classiche e della storia dell’arte canonica, si scontra con un simbolo del moderno commercio e della produzione di massa, essendo resa in 14 colori diversi di LEGO. La presenza dell’appendiabiti è un riferimento esplicito e rimanda alla recente attualità. L’appendiabiti di metallo è lo strumento più comunemente usato per gli aborti clandestini. Il 24 giugno 2022 la Corte Suprema degli Stati Uniti ha abolito uno storico provvedimento legislativo con cui, nel 1973, la stessa Corte aveva legalizzato l’aborto negli USA. Ciò significa che ora i singoli Stati sono liberi di applicare le proprie leggi in materia. “La Costituzione non conferisce il diritto all’aborto”, si legge nella sentenza.
Quel banale appendiabiti è tutto fuorché banale: è una reliquia tragica di una battaglia che dovrebbe essere già vinta.

Left Right Studio Material
Frammenti veri, autentici, reperti di un trauma: sono i resti delle opere distrutte dal governo cinese quando fece demolire lo studio di Ai Weiwei a Pechino. La materia stessa diventa opera. La violenza istituzionale si cristallizza e ti guarda in faccia.

FOREVER (STAINLESS STEEL BICYCLES IN GILDING), 2013
Presentata in diverse versioni dal 2003, l’installazione riecheggia la ruota di bicicletta ready-made di Duchamp del 1913. Ai Weiwei cerca di evidenziare il problema dei trasporti, una questione importante in Cina, e del loro impatto sull’ambiente. Ma la bicicletta ha anche un altro significato per Ai Weiwei: quando era giovane, possedere una bicicletta significava essere liberi di muoversi, quindi è anche un simbolo di libertà. La marca utilizzata in questo caso (“Forever”) è stata la più popolare in Cina fin dagli anni Quaranta ed era praticamente l’unica bicicletta venduta durante la giovinezza di Ai. Separando le biciclette dalla loro funzione, Stacked riconfigura l’oggetto come una sorta di labirinto, non dissimile dalla rete mondiale, ma la sua natura architettonica allude anche a un arco di trionfo o a un ingresso monumentale.
The Last Supper (2022)
Una tavola rinascimentale reinterpretata con Ai Weiwei nei panni… di Giuda. Provocazione? Sì. Autoironia? Forse. Dubbio? Sicuro. È un messaggio complesso sulla fiducia, sulla fede, sulla percezione pubblica dell’artista come traditore di un sistema che non ha mai accettato.

Dropping a Han Dynasty Urn
Dropping a Han Dynasty Urn (1995) di Ai Weiwei è un’opera altamente provocatoria. Questa serie di tre fotografie in bianco e nero ritraggono l’artista con in mano un’urna cerimoniale della dinastia Han risalente a 2000 anni fa che, fotogramma dopo fotogramma, lascia cadere, cade e si frantuma. In ogni fotogramma, tanto un’opera di fotografia quanto un’opera performativa, Ai guarda direttamente la macchina fotografica consapevole del suo potere distruttivo. In effetti, per catturare l’azione su pellicola (piuttosto che con la fotografia digitale, che consente di rivedere immediatamente l’immagine), l’artista ha rotto due vasi di ceramica. Questo tipo di distruzione palese degli artefatti può sembrare molto irriverente, ma costringe lo spettatore a considerare le questioni della trasformazione e della distruzione del passato. Una delle opere più famose di Ai, Dropping a Han Dynasty Urn (1995), incorpora quello che Ai ha definito un “readymade culturale”. Questo manufatto non solo aveva un valore considerevole, ma anche un valore simbolico e culturale. La dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.) è considerata un periodo fondamentale nella storia della civiltà cinese, e rompere deliberatamente una forma iconica di quell’epoca equivale a gettare via un’intera eredità di significato culturale sulla Cina. Con quest’opera, Ai ha iniziato il suo continuo utilizzo di oggetti antichi, dimostrando un atteggiamento interrogativo su come e da chi vengono creati i valori culturali. Alcuni si sono indignati per questo lavoro, definendolo un atto di profanazione. Ai ha risposto dicendo: “Il presidente Mao ci diceva che possiamo costruire un nuovo mondo solo se distruggiamo quello vecchio”. Questa affermazione si riferisce alla diffusa distruzione di antichità durante la Rivoluzione culturale cinese (1966-76) e alla lezione secondo cui per costruire una nuova società bisogna distruggere i si jiu (quattro vecchi): vecchi costumi, vecchie abitudini, vecchia cultura e vecchie idee.

Coca-Cola Vase
Con la serie di opere Coca-Cola Vase, il messaggio dell’artista è chiaro. Il logo è dipinto con cura su vasi della dinastia Han, l’emblema del capitalismo americano accostato a un’antica tradizione cinese. È un’operazione tanto semplice quanto sovversiva: l’opera sferra un colpo agli artefatti
apparentemente incrollabili della storia, ripensando il loro scopo e il loro posto nel mondo moderno. Marchiando un vaso della dinastia Han occidentale (260 a.C. – 220 d.C.) con il logo della Coca-Cola – emblema per eccellenza del consumismo globale – Ai provoca gli spettatori a riconoscere come l’impegno della Cina con l’Occidente abbia avuto conseguenze sia distruttive che creative. La familiarità del logo della Coca-Cola testimonia il lavoro silenzioso ma inesorabile della globalizzazione. La caratteristica scritta rossa è penetrata nella coscienza generale tanto da diventare quasi invisibile; un’affermazione immediata e ineludibile della cultura del consumo. Il suo impatto come simbolo non solo del consumismo, ma di una cultura popolare più ampia, lo ha reso maturo per l’appropriazione da parte degli artisti.
Ai vs AI

L’identità come oggetto smontabile (come i LEGO)
Tutto nella mostra ruota attorno all’identità, personale, collettiva, nazionale, digitale. Ai Weiwei la smonta, la analizza, e te la restituisce sotto forma di una sedia Ming spezzata, di una foto in cui fa il dito medio alla Casa Bianca, o di un QR code che non sai se ti porterà a un video o a una denuncia politica.
Ai Weiwei, alla fine, è un comico tragico: ti lascia sorridere — davanti ai LEGO, ai ritratti pixelati, alla semplicità disarmante di alcune installazioni — poi ti colpisce all’improvviso con la storia vera dietro ogni opera. È come un monologo perfetto: ride, scherza, ma poi ti lascia in silenzio. E quando esci dalla sala, sei più pesante di quando sei entrato.
“Ai Weiwei. Who am I?” non è solo una mostra, è una finestra sul mondo e uno specchio su di te. Una sfida a guardare la società con occhi diversi. È un invito a riflettere su chi siamo, su cosa crediamo e su come l’arte può essere un potente strumento di cambiamento. Non risponderà alla domanda “Chi sei?” (vedi sopra) perché anche quando credi di essere sicuro di sapere chi è che hai davanti, questo ti stupirà mostrando le sue mille facce: quella istrionica, quella narcisista, quella carina e coccolosa, quella assassina.
Allestita a Palazzo Fava (fino al 4 maggio 2025), la mostra “Who am I?” è una selezione potente, densa, e perfino tenera (sì, tenera) di un artista che ha fatto della propria biografia un campo di battaglia artistico.
Sitografia: Ai Weiwei. Who am I? – Opera Laboratori, Ai Weiwei. Who am I | Cultura Bologna, Ai Weiwei. Who am I? – Bologna Welcome



venne imbrattata con una torta in segno di protesta contro
il cambiamento climatico. A questo atto hanno fatto seguito
una serie di gesti simili organizzati per attirare l’attenzione
dei media sul tema ambientalista.



di San Gregorio, a Roma, in LEGO. Essendo l’immagine del
mosaico rovesciata, l’iscrizione greca “gnothi seauton”,
tradotta come “conosci te stesso”, pur essendo leggibile,
è irriconoscibile


Shanhaijing (Il classico delle montagne e dei mari), un libro
di geografia fantastica scritto oltre duemila anni fa, che Ai
Weiwei non riuscì a leggere da giovane. Per la realizzazione
delle varie figure mitologiche si è ispirato ai disegni e agli
aquiloni che realizzava da ragazzo, ma ha anche coinvolto
artigiani locali.


Study of Perspective, scattata in Piazza Tienanmen a
Pechino, risale al 1995. Le 12 fotografie esposte in questa
sala hanno tutte in comune il braccio sinistro dell’artista
alzato a fare il dito medio a icone globali come la Casa
Bianca a Washington, la Gioconda al Louvre, la Torre
Eiffel a Parigi, Piazza San Marco a Venezia, il Colosseo a
Roma, il MET di New York, lo skyline di Hong Kong o Piazza
Tienanmen a Pechino. Con il suo gesto irriverente Ai Weiwei
cerca di spingere l’osservatore a mettere in discussione il
proprio approccio ai governi, alle istituzioni e persino alla
cultura stessa
nella comprensione della tradizione cinese, sono un uomo
contemporaneo, penso che reinterpretare l’artigianato
e la cultura in questo vernacolo sia molto importante,
distruggere e dissacrare è un modo per capire cosa è
successo nel passato”, dichiara l’artista. La porcellana
è tradizionalmente considerata il mezzo espressivo più
elevato dell’arte cinese. Dall’esperienza diretta di Ai
Weiwei con gli operai del distretto di Jingdezhen – punta di
diamante della Cina nella lavorazione di questo materiale
prima della rivoluzione industriale – sono nate una serie di
opere. Tra queste, la “Colonna di porcellana con motivi di
rifugiati” si sposta dai temi epici cinesi del periodo Ming, di
guerra e coraggio, e passa senza soluzione di continuità al
presente, per commentare con forza la tragica situazione
dei rifugiati nel mondo.
“Siamo tutti rifugiati in qualche modo, da qualche parte e
in qualche momento” Ai Weiwei


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