Luce e Lusso: L’Avanguardia Glamour di George Hoyningen-Huene

Amiche e amici, come state? Io bene, ero qui che svuotavo di nuovo l’armadio per l’ennesimo cambio casa (il settimo in meno di un anno e senza contare l’auto e gli altri alloggi promiscui e provvisori) e mi sono chiesto: “ma comm’ cazz’ mi vesto?”. E ho pensato alle riviste patinate, allo charme, al fashion… A George Hoyningen-Huene, uno nato già elegante. Figlio di un barone russo e di una nobildonna americana, nel suo DNA c’era più seta che emoglobina. Ma a George di vivere nel privilegio non interessava: a lui importava creare, creare immagini perfette, ad altissimo impatto emotivo, dall’erotismo sottile e ricercato, dallo stile inconfondibile.

Siamo nei raffinati salotti damascati del Palazzo Reale di Milano, alla mostra “Glamour e Avanguardia”. Qui si entra in un mondo in cui la fotografia era ancora in bianco e nero, ma lo stile era più technicolor di un musical anni ’50.

George Hoyningen-Huene — che in un pomeriggio ho già sentito chiamare in almeno sei modi diversi — nasce a San Pietroburgo nel 1900, ma il passaporto dell’anima è tutto parigino. Scappa dalla rivoluzione russa e finisce nella Ville Lumière, dove inizia a lavorare nella moda: prima come illustratore, poi come fotografo. La sua carriera decolla grazie a Vogue e Harper’s Bazaar, le bibbie fashion del tempo, e lui, invece di limitarsi a fare click, inizia a scrivere poesia con la luce.

Huene è il primo a portare una vera estetica classica nella fotografia di moda, cercando il marmo greco nei lineamenti di una modella. Ogni scatto è una statua vivente: simmetrie, pose monumentali, luci scolpite come bas-relief. Roba che oggi ti direbbero “eh, ma è poco naturale”. E certo: perché la natura non è mai stata così perfetta.

La mostra si snoda in un percorso che è un po’ un viaggio nel cervello di Huene: una testa metà studio fotografico, metà tempio greco. Troviamo fotografie che sembrano uscite da un sogno di Man Ray educato a Cambridge: la pulizia formale dell’avanguardia, ma con la sensualità silenziosa del glamour.

Huene lavorava con modelle e modelli come se fossero sculture mobili: controllava ogni piega del tessuto, ogni ombra, ogni inclinazione del collo. Aveva il senso del “momento perfetto” ma lo costruiva come un architetto, non lo aspettava come un turista a caso. Interessanti i “dietro le quinte”, dove si capisce che ogni scatto è costruito in modo maniacale con la partecipazione anche di decine di assistenti, chi regge i fari, chi tiene i pannelli, chi muove l’aria, eccetera. Non un maniaco: un’artista perfezionista.

Huene non era solo fotografo: era sceneggiatore, direttore della fotografia a Hollywood (collaborò con George Cukor, per esempio), omosessuale dichiarato quando ancora non si poteva dire (più) niente, e uno che ha viaggiato per mezzo mondo. Ha vissuto tra Parigi, Londra, New York, Hollywood. E alla fine si è ritirato a Los Angeles, circondato da bellezza e memorie. Una specie di Gatsby che non si è mai rovinato.

Alcuni degli scatti che potete ammirare alla mostra:

1. Divers (1930) – Locandina della mostra, è una delle immagini più iconiche esposte: il celebre scatto che ritrae Lee Miller e Horst P. Horst, poi suo amante e celebre fotografo a sua volta, che sembrano due divinità olimpiche in costume da bagno. Il mare lo senti. Il controllo formale è assoluto, quasi maniacale. È uno scatto che grida “equilibrio” ma sussurra “desiderio”. E in mostra, grazie a una stampa d’epoca, sì può ammirare in tutta la sua perfezione geometrica.

2. Marlene Dietrich (1931) – Un ritratto iconico: la diva è parzialmente in ombra, ripresa con la luce che le accarezza il viso come una dichiarazione d’amore non detta, lo sguardo taglia la diagonale dell’inquadratura. Huene fa con la luce quello che un poeta fa con le pause: scolpisce il mistero. Marlene non è solo diva, è statua parlante.

3. Lee Miller in vesti classiche (1930 ca.) – Lee, che sarà testimone dell’orrore di Dachau anni dopo, è qui una musa inquietante, vestita da greca, con una compostezza che grida eternità. È una delle foto più potenti della mostra, perché unisce la delicatezza formale di Huene con la forza interiore di una donna che saprà cosa vuol dire guardare negli occhi l’abisso.

5. I ritratti maschili – Molti dei suoi uomini sono divinità greche. Muscoli scolpiti, pose ieratiche, e una sensualità che oggi ci sembra modernissima. Huene ha fotografato il maschile con la stessa cura riservata al femminile, anticipando di mezzo secolo la riflessione di genere nell’immagine.

Uscendo dalla mostra, ti porti via un po’ della sua luce. Non quella dei faretti, dei flash o dei riflettori, ma quella più segreta, che trasforma il viso di una modella in una maschera tragica o il corpo di un uomo in un tempio. George Hoyningen-Huene non cercava solo la bellezza: la pretendeva. E la trovava.

In un tempo come il nostro, saturo di immagini ma povero di sguardi, Huene ci ricorda che la fotografia può ancora essere un gesto sacro. Una messa in posa. Un’ode silenziosa. Ammirare queste immagini oggi è percepire l’armonia. In un mondo in cui “glamour” spesso è associato a un filtro Instagram e “avanguardia” è una sedia rotta in una stanza vuota, Huene ci ricorda che l’eleganza può essere radicale e che la perfezione è ancora una forma di ribellione.

E noi torniamo ai nostri armadi da svuotare [segue selfie allo specchio]

Michele Lamacchia

Le parole creano mondi


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