Lo scatto e il fucile: Tina Modotti, rivoluzionaria con la macchina fotografica

Amiche e amici, come state? Io bene. Riflettevo sulla condizione dei lavoratori italiani, sul fatto che in 30 anni i salari in Italia sono aumentati dell’1% rispetto al 32,5% della media dei paesi OCSE e che, in termini reali, dal 2008 sono calati dell’8,7%, il risultato peggiore tra tutti gli stati c.d. Occidentali. Non ho mai avvertito una distanza così importante tra chi governa e il mondo reale coi suoi bisogni (lavoro, casa, sanità, sicurezza, istruzione, etc.) e mi sono chiesto: quand’è che abbiamo smesso di chiedere ciò che ci spetta? Forse abbiamo anche dimenticato come si fa.

Potrebbe venirci incontro ricordare la storia di Tina Modotti, presentata in una delicata, intima e potente esposizione al Museo di Trastevere.

L’allestimento regala un percorso narrativo che sembra un film in tre atti: lavoro infantile (a soli 12 anni lavorava in una fabbrica tessile per aiutare la famiglia: esperienza che ha temprato la sua coscienza politica), emancipazione artistico-politica (prima di diventare fotografa era attrice nei film muti a Hollywood, ma abbandonò la carriera non appena incontrò Edward Weston a San Francisco, diventandone allieva e compagna), esilio (fu in Messico protagonista di un “ritorno rivoluzionario”, poi attivista nelle Brigate Internazionali durante la Guerra civile spagnola) e – bonus track – mistero finale (morì a 45 anni per un infarto in taxi a Città del Messico, ma cospirazioni e veleni politici circolano ancora: Neruda la difese pubblicamente, accusando della sua fine il compagno di allora Vittorio Vidali, già sospettato di essere coinvolto nell’assassinio di Trotsky). I materiali di archivio, dagli articoli di “El Machete” alle tessere di partito, arricchiscono la mostra di un respiro internazionale memorabile. Modotti emerge come una figura complessa, passionale, perfino contraddittoria, capace di trasformare la fotografia in vera e propria arma politica.

Si comincia dagli scatti in bianco e nero che ritraggono i volti di contadini, lavandaie e manifestanti: immagini potenti, dure, struggenti, capaci di coniugare rigore compositivo e impegno politico . Eccezionale “Donna con bandiera” (1928), manifesto visivo della potenza femminile nei movimenti popolari, la donna del titolo emerge con forza dallo sfondo, simbolo dell’emancipazione e della partecipazione politica delle donne. Poi si passa alle Tehuanas, matriarche zapoteche ritratte con fierezza quasi mitologica: pittoriche, realistiche, simboli di un’identità antropologica e culturale. E commuovono i Campesinos che leggono El Machete: operai intenti a leggere un giornale comunista, una dichiarazione visiva potentissima sull’unità e la resistenza popolare.

La curatela, affidata all’Associazione Storia e Memoria APS in collaborazione con il Governo messicano e la Fototeca dell’INAH, presenta 60 opere d’epoca: 94 fotografie (negativi e diapositive), lettere, tessere e documenti. Un percorso che attraversa la vita di Modotti da Udine alla diaspora statunitense e messicana, fino all’esilio europeo, da come si sia trasformata da musa di Edward Weston a fotografa autonoma e militante comunista messicana, fino all’impegno nelle Brigate Internazionali durante la Guerra Civile di Spagna. Lettere e tessere di partito completano il racconto della sua evoluzione da artista a attivista politica.

L’ultima sezione espone i materiali dell’esilio berlinese e spagnolo, restituendo la varietà di ruoli che Tina ha ricoperto, fino alla sua morte misteriosa nel 1942 a Città del Messico. Neruda la definì «sorella», indignato dal suo prematuro e controverso addio.

La narrazione visiva scorre con eleganza, ritmo e intensità: si va dalle lotte operaie alle scene di piazza, passando attraverso le pieghe intime della sua biografia. La mostra riesce a restituire la tensione tra la bellezza formale delle immagini e la radicalità politica del soggetto. Grazie all’allestimento spaziale (Sala del Pianoforte) ogni scatto sembra un fotogramma di un film politico-esistenziale, dove fotografia e militanza si fondono in un unico sguardo.

Altri scatti si concentrano su dettagli architettonici, nature morte e scene quotidiane, ma è l’umanità delle immagini (“bocche arrotondate”, “mani al cielo”, “cappelli di paglia”) a colpire per la sua forza elegiaca e di denuncia insieme.

Se vi emozionano le biografie di donne emblematiche, l’Europa degli anni Venti-Trenta, l’arte come arma politica e le storie che trasformano l’immagine in impegno, questa mostra è un’occasione da non perdere. Perché Tina Modotti non è solo una fotografa: è un grido silenzioso che attraversa i decenni, tra due mondi, tra bellezza e ribellione.

Se come me ami le donne che hanno fatto della loro vita un manifesto politico, se ti affascina la Rivoluzione come strumento per reclamare i propri diritti, se ti commuovi davanti a una fotografia che dice «resisto», questa mostra è un must. Tina non è solo un’artista da ammirare: è la rivoluzione messa a fuoco, con eleganza cruda.

Buona visita e… Che vogliamo fare? Alzare la testa o continuare a farci calpestare?

Michele Lamacchia

Le parole creano mondi


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