
Amiche e amici, come state? Io bene, ma stavo litigando discutendo con dei colleghi sui c.d. standard di scrittura, sull’editing del testo, etc. a parere dello scrivente sempre più appiattiti su posizioni (e risultati) prevedibili, quando mi è capitato tra le mani Spettri Diavoli Cristi Noi, romanzo di Riccardo Ielmini per Neo. E questa NON è una recensione.
Spettri Diavoli Cristi Noi non è quello che ci si aspetta, non assomiglia a nulla (o a poco) di quello che avete letto finora. Aspe’, non meglio, non peggio: diverso. Negli anni li ho visti tanti di manoscritti e posso immaginare che cosa abbiano provato alla Neo quando è arrivato LUI.
A differenza di un testo scritto secondo gli standard editoriali più classici, dove la struttura narrativa segue una linearità ben definita, delle regole compositive e uno stile omogeneo, SDCN si distingue per un approccio più libero e sperimentale. La prosa di Ielmini non si preoccupa di essere “pulita” o di rispettare rigidamente le convenzioni stilistiche: al contrario, il ritmo è irregolare, con frasi che talvolta sembrano esplodere in immagini visionarie e altre che si contraggono in riflessioni essenziali. La narrazione stessa sfugge a un percorso prevedibile, intrecciando passato e presente senza segnali evidenti, immergendo il lettore in un flusso di coscienza che amplifica la sensazione di trovarsi in un mondo sospeso tra realtà e allucinazione. Questo distacco dagli standard editoriali conferisce al romanzo un’identità unica, ma può anche renderlo più impegnativo per chi è abituato a una lettura più – mi vien da dire – ordinaria.
Come gli iconici Goonies o in Stranger Things, la trama segue le vicende di un gruppo di amici cresciuti in una terra sospesa tra mito e realtà, la “Contea”, un luogo immaginario ma denso di riferimenti alla provincia, con i suoi boschi, le sue chiese e i suoi segreti sepolti nel tempo. In un lungo “viaggio dell’eroe”, la narrazione è suddivisa in tre parti – “La Confraternita”, “Diaspora” e “Il ritorno della Confraternita” – e porta i protagonisti lungo un percorso di formazione che si intreccia con eventi oscuri, segnati da presenze inquietanti e da un senso di colpa che sembra permeare ogni pagina.
Nei romanzi che seguono gli standard editoriali tradizionali, i personaggi sono costruiti con precisione, attraverso descrizioni dettagliate e un’evoluzione psicologica chiara. Il lettore entra nella loro mente, ne comprende i pensieri e le motivazioni, seguendone la crescita lungo il corso della narrazione. In SDCN, i personaggi emergono più attraverso suggestioni che attraverso un ritratto dettagliato. Ielmini preferisce lasciare spazio al non detto, affidandosi all’atmosfera e ai simbolismi piuttosto che a spiegazioni esplicite. Questa scelta rende i protagonisti quasi sfuggenti, come ombre che si muovono in un contesto più grande di loro. Il lettore è chiamato a interpretarli, a riempire i vuoti, il che rende l’esperienza di lettura più esigente, ma anche più immersiva.
Giocando con la temporalità, l’autore mescola passato e presente senza transizioni nette. I ricordi emergono improvvisamente, si intrecciano con il contingente, creando un effetto quasi onirico. Il lettore è immerso in un moto narrativo in cui i confini tra allora e adesso si dissolvono, un espediente che amplifica il senso di disorientamento e mistero del romanzo. Siamo svegli o sogniamo? Siamo lucidi o, come pare siano i personaggi della “ghenga”, in preda alle allucinazioni corrotte da alcool e droghe?
Lo stile di Ielmini è poetico, ma anche crudo e crudele. Le sue descrizioni sono quasi pittoriche e contribuiscono a costruire un’atmosfera di mistero e fascinazione. I dialoghi, asciutti ed essenziali, danno voce a personaggi che portano con sé il peso di esperienze complesse, tra il desiderio di redenzione e il confronto con il proprio passato. In merito alla sintassi, in SDCN questa è spesso spezzata, frammentaria, quasi viscerale. Ielmini utilizza frasi brevi e incisive per trasmettere tensione o urgenza, mentre in altri momenti si abbandona a periodi lunghi, avvolgenti, carichi di immagini e metafore, con un’alternanza imprevedibile del ritmo.
Ielmini predilige un lessico evocativo e denso, ricco di termini arcaici, riferimenti religiosi e immagini potenti. Non ha paura di spingere la lingua oltre i suoi confini convenzionali, creando passaggi acrobatici che sfidano le regole della sintassi ordinaria. Questa scelta linguistica conferisce al testo una forte identità che, come già detto, non assomiglia ad altre cose già lette (e questo è uno dei suoi punti di forza).
In SDCN, poi, l’atmosfera è tutto. L’autore non cerca di spiegare, ma di evocare, lasciando che il lettore si perda nei dettagli, nelle immagini, nei silenzi. Questo crea una sensazione di immersione totale che potrebbe anche risultare disorientante… Un altro degli aspetti più affascinanti del romanzo è la sua capacità di fondere elementi realistici con incursioni nel simbolismo religioso e nel folklore. Le figure dei “diavoli” e dei “cristi” non sono semplici metafore, ma incarnazioni di forze contrastanti che animano la coscienza collettiva della comunità in cui si muovono i protagonisti. Il male non ha confini netti, così come il bene non è mai del tutto puro, e questo gioco di sfumature rende la lettura ancora più intrigante.
Oh, normalmente l’editore tende a preferire romanzi dal linguaggio accessibile, che bilancino ricchezza espressiva e immediatezza comunicativa, escludendo eccessi di complessità che possano rallentare la lettura riportando chi legge sullo stesso periodo o concetto per non perdersi niente. A protezione di queste caratteristiche, a valle del manoscritto viene posto l’editor, la figura che ha il compito di suggerire, di dare indicazioni all’autore affinché il testo ne guadagni in coerenza, fluidità, eccetera. Non ci è dato sapere se, nel caso di SDCN, sia stato previsto l’intervento di un editor, se il manoscritto sia stato trattato, curato, elaborato per le esigenze editoriali, ma facciamo che sì.
Secondo me, potrebbe convincere poco il lettore l’uso smodato di complessi artifici narrativi, di sottotesti carichi di riferimenti e citazioni (se dico “ricchi” credetemi) che possono generare una serie di possibili reaction: a) leggo la prima, la seconda, la terza volta per meglio apprezzare – e capire – tutti i riferimenti e le citazioni; oppure b) rinuncio a scendere negli inferi santo-diabolici dei viaggi lisergici dei vari Dambro, Fredy, Accio, Frida, Bardo e gli altri, numerosi personaggi della Confraternita e della Contea, e anche l’Altissimo chiamato in ballo, e il Diavolo nelle sue molteplici forme e cattiverie, e persino la Contea stessa a fare la propria parte come attrice, e prendo per buono, per fede quello che viene, come acqua quando piove; e quindi c) penso che l’autore sia un Battiato della narrativa italiana contemporanea e intenda trasportarci per i campi del Tennessee e spetta a me ammirare con reverenza quei “Per me il club era una riserva di caccia della ditta Tyskie, ugualmente fuori dalla terra dei nobili ricordi della mia infanzia: non potevano mettere piede nello scrigno in cui avevo immaginato il corpo di Jerzy Popiełuszko galleggiare nel gelo della Vistola. All’apice del loro delirio, poi, saltavano fuori con quel grido «płonie Solidarnośi!». Per molto tempo pensavo fosse l’equivalente polacco del barbarico «yawp!» che avevo visto campeggiare sulla lavagna in quella scena dell’Attimo fuggente”; oppure d) potrei pensare che l’autore sia invece un Cristicchi della narrativa italiana contemporanea che tanto di cappello ma che questo giocare con le costruzioni dopo un po’ può diventare un boomerang che può comprometterne la credibilità (oltre che la leggibilità, la godibilità del testo).
SDCN è un’opera intensa, viscerale, capace di far riemergere immagini potenti e suggestioni e di trascinare chi legge in un viaggio tra il sacro e il profano, l’infanzia e l’età adulta, l’innocenza e la corruzione.
Nel complesso, Spettri Diavoli Cristi Noi è un romanzo che si distingue per originalità e profondità tematica. Pur richiedendo una lettura attenta, quando capace di cogliere i numerosi riferimenti culturali e simbolici disseminati nel testo, l’opera ripaga il lettore con un’esperienza letteraria intensa e coinvolgente. Da leggere e (per recuperare tutte quelle briciole lasciate lungo il percorso) da rileggere.
Credo di aver detto il giusto: se vi va di farvi un viaggio in scenari già citati un po’ Goonies, un po’ Stranger Things, un po’ [libro/film a caso con riferimenti religiosi], un po’ Clockwork Orange, lasciatevi portare via da SDCN, vi garantisco che non ve ne pentirete. Se però cercate una lettura scorrevole, immediata, leggera, spensierata, prevedibile, didascalica… lasciate perdere.
Nota a margine: nel lungo, infinito dibattito sull’editoria, da autore mi sento di dire che sarebbe ora che le CE si assumano la responsabilità di valutare, accettare e pubblicare testi con caratteristiche nuove, diverse, originali, insolite (messe tra molte virgolette, poiché questi sono aggettivi soggettivi) e in questo caso, tanto di cappello a Neo per il coraggio espresso (non nuovo, viste le pubblicazioni che l’hanno distinta e la distinguono tra le CE).
Da editor, mi sento di dire che è vero, è bello il tratto originale-sperimental–pentecostal-cucurrucucú paloma-&-nievskij perspective, ma è importante (fondamentale) trovare un compromesso tra l’arte creativa brillante stupefacente* (*nel senso) dell’autore e la fruibilità del testo, perché la lettura è fondamentalmente entertainment, è piacere. In questo, l’intervento dell’editor risulta raccordo indispensabile per smussare quelle eventuali macchinose costruzioni verbali, che possano essere gustate per la loro ricchezza e non essere confuse per paraculite dell’autore.
Tanto vi dovevo. Grazie e arrivederci.

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