La festa. È qui?

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La testa mi scoppia, gira metallica come la caldara sul fornellone a gas, il fiume di folla ci porta, i profumi invadenti delle femmine dai rossetti scattusi, le cosce e le menne che ti girano la testa «Eccolo! Il mio buen retiro!» Aria! Finalmente ci siamo, usciamo dal corteo.

Salite le scale, il ricordo del vino nero sotto il palato e nel fondo della gola, la traccia dei baci e i morsi nel labbro gonfio. Barcollo, appoggio una mano alla porta, l’altra cerca la chiave, guardo le due serrature, le due maniglie. «È qui che vengo quando devo scrivere», entriamo.

Lasciata fuori dalla porta, la festa prova ad entrare dalla finestra PUNZ! PUNZ! che chiudo punz… punz… C’è quasi silenzio. Mi sento lo zucchero filato nel naso, ma credo sia il tuo profumo di vaniglia. O questo cappello di non-ricordo-chi-c’era-ieri.

Tocchi tutte le mie cose, e questo mi procura come delle punture sotto la corteccia frontoparietaloccipitemporale, quando prendi i miei libri, i miei appunti, i miei fermacarte a forma di. E i miei ciddì. La testa piegata di lato scopre il collo e una spalla con una bretellina di raso lilla, ingoio un boccone di aria gusto-primitivo, sono a mezzo passo da te.

«Mì, come nascono le storie?»

«Eh?», la voce tua mi riempie le orecchie e il naso di dolci primizie e promesse e «Come nascono? Dalle parole», mi lancio. «Le parole sono come la mìgnola, le storie come la cupeta. Le mandorle: sbucciate, calate a chili nel buio e famelico ventre della caldara scompaiono, coperte di zucchero, mielate, caramellate, e girano. Tutto il tempo. Qualcuno o qualcosa gira la manovella», giro il braccio due, tre volte, mi guardi negli occhi come si guarda un pazzo.

«Quando l’impiastro sarà della giusta mescola sarà raccolto a muzzo con la spatola, steso sul piano di marmo con il mattarello», le mani, cerco le mani «fintanto che si raffredda e si intosta e infine tagliato con colpi secchi di lama in pezzi dritti, lunghi e precisi eppure», le mani? «diversi tra loro. Pronti da mangiare. Così nascono le storie»

«Hai bevuto?»

«Sì»

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Michele Lamacchia

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