“Il passaggio dall’infanzia all’età adulta è caratterizzato dalla cattura del polpo a mani nude e dalla susseguente arricciatura sullo scoglio: non una semplice procedura, ma un rituale con regole precise e scrupolose, tramandate di generazione in generazione. Tutto con gli zoccoli ai piedi, oppure scalzi.
Dal mozzico in testa allo sbattimento con la strascedda, tra tradizione e barbarie.”
(“Memorie baresi”, M.L. – 14 anni)
La leggenda narra che, un tempo, uomini e polpi vivevano insieme su una terra paradisiaca: a Bari. Laggiù gli abbracci erano tentacolari e i succhiotti a ventosa.
Ma un brutto giorno, accadde qualcosa che cambiò completamente la cultura di quei luoghi, mutando per sempre, fino ad oggi, il clima di rispetto e condivisione di amore tra le due specie.
Un giovane pescatore e un vigoroso polpo adulto si innamorarono della stessa femmina (non sappiamo se ragazza o polpo: gli uomini hanno sempre sostenuto si trattasse di una splendida fanciulla, i polpi invece no). All’epoca i polpi non erano come li conosciamo noi: erano alti due metri e vestivano di pelle di squalo per nuotare più velocemente. I due ingaggiarono una furiosa lotta che durò per sette giorni e sette notti, durante la quale il giovane pescatore, costretto in acqua per tutto quel tempo, rischiò danni permanenti alle dita di mani e piedi, che si erano fatte tutte come alla morte. In compenso, invece, il polpo aveva mostrato la sua abilità nel farsi ricrescere i tentacoli dopo che quell’altro glieli colpiva con un coltello, mentre il ragazzo non era capace nemmeno di farsi ricrescere i capelli. Il germe dell’invidia e dell’inadeguatezza si insinuò nella specie umana, e la disperazione si appropriò della ragione del giovane che, dal nervoso, tirò un mozzico in testa al polpo: fu l’inizio della fine. Quello, ferito a morte, provò a reagire spruzzando tanto di quell’inchiostro che al ragazzo gli rimase per sempre in faccia e nelle mani. Il polpo agonizzante, con le ultime forze, strinse nelle sue spire il ragazzo che, trascinato sul fondo del mare con i vestiti a brandelli e le braccia bloccate, fu costretto a usare la bocca e a mordere l’animale finché non riuscì ad aprirsi una via d’uscita. Capì che il polpo si poteva mangiare crudo e con gusto, e scappò in superficie dalla sua amata.
La ragazza, vedendo arrivare il giovane pescatore tutto inchiostrato e nudo e da solo, subito pianse moltissimo.
– Ma io vi amavo entrambi! Solo… in modo diverso! – , disse tra i singhiozzi, ricordando le imprese dell’amante perduto.
Il ragazzo, dalla furia cieca per l’invidia e l’inadeguatezza di prima, si rituffò in acqua, prese il corpo del rivale ormai esanime e lo scaraventò con tutte le forze sugli scogli, una dieci, cento volte, finché lui non si fu sfogato e il povero polpo non diventò arricciato e tenero come un fiore.
Un poco per amore, un po’ per dispetto, lo porse alla ragazza.
– Mange e citt’! – le disse bruscamente.
Lei lo trovò molto saporito. Ma gradì anche il polpo.
Da quel momento partì un periodo duro e oscurantista dedito allo sterminio della specie rivale, amante delle belle donne, al termine del quale la cattura del polpo a mani nude era diventata ormai un tradizionale rito di passaggio, dall’infanzia all’età adulta.
Ancora oggi, i giovani baresi debbono dimostrare le loro capacità saltando tra gli scogli e le acque del mare, cercando di prendere il polpo senza soccombere. Poi devono arricciarlo seguendo le antiche tecniche artigianali dal mozzico in testa, al rovesciamento come la calzetta, allo sbattimento sullo scoglio e con la strascedda, allo schiumaggio nel gallettone. Tuttora, il crudo di mare viene portato in offertorio presso la casa della sposa tutte le domeniche, in ricordo di quegli accadimenti.
C’è da dire che il tutto è ormai solo un fatto formale e di costume, perché la specie del polpo, per difendersi e meglio nascondersi, con l’evoluzione è diventata di dimensioni piuttosto contenute. Resiste ancora qualche specie più grande nelle acque del Borneo, di Guinea e Australia, dove però l’accoppiamento col polpo è, di norma, ben tollerato e dove ancora non conoscono la leggenda.
La conoscono bene in Giappone, dove l’hanno subito presa come pretesto per inventare il sushi.
Prossimamente “Dal riso-patate-e-cozze” alla paella: come la Spagna si è appropriata di una ricetta barese leggendaria, nata dallo scontro furibondo tra tarantini, cinesi e patate, proprio in piazza Mercantile, tra i banchi della verdura.
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