Gli animali sono meglio delle persone.

Amiche e amici, come state? Io bene: “come un parassita sul proprio ospite”, dice.

A proposito di bestie, nella mia numerosa famiglia non c’era posto per altri animali (esclusi i presenti) e per soddisfare il mio istinto di etologo ero “costretto” a inseguire, cacciare, catturare insetti, uccelli, rettili, crostacei, molluschi, pesci e piccoli mammiferi per studiarne le abitudini e testarne le capacità di sopravvivenza in cattività (scatole di cartone, barattoli e cassette di legno). Mentre ricordavo quei momenti di intrattenimento ludico-scientifico, mi è tornato in mente Gerald Durrell con il suo fortunato La mia famiglia e altri animali, edito in Italia da Adelphi in numerose edizioni.

Inizialmente doveva essere un resoconto blandamente nostalgico della storia naturale dell’isola (la storia dei cinque anni che l’autore ha trascorso da ragazzo con la sua famiglia sull’isola greca di Corfù, ndr), ma ho commesso il grave errore di infilare la mia famiglia nel primo capitolo del libro. Non appena si sono trovati sulla pagina non ne hanno più volto sapere di levarsi di torno, e hanno persino invitato i vari amici a dividere i capitoli con loro“.

La mia era solita trimmare noi figli con il battipanni e la ciabatta rotante, ma Immaginate una mamma zen, che con la sua calma serafica affronta tranquillamente un’invasione di formiche giganti, un figlio maggiore, Larry, che è talmente intellettuale da sembrare uscito da un convivio di filosofi greci, un altro figlio appassionato di armi, Leslie, che potrebbe trasformare un picnic in un campo di battaglia, e una figlia, Margo, che sembra sempre in bilico tra una dieta assurda e una crisi adolescenziale. E poi c’è Gerald, il nostro giovane naturalista, che passa le giornate a collezionare insetti e a inseguire animali selvatici. Ogni pagina è una nuova sorpresa, con la fauna locale che sembra fare a gara per entrare nelle grazie (o nei guai) della famiglia Durrell.

L’autore ha la capacità di mettere insieme la passione per lo studio degli animali con una scrittura ironica, a tratti spassosa, ma sempre delicata come fosse parte della narrazione naturale. Tante le similitudini che farebbero storcere il becco ai puristi della lettura forte, ma è il bello del naturalismo secondo me. Un po’ come scrivere le favole [occhi a cuoricino]. Si capisce come chi fa il mestiere di Durrell ha una dote innata per l’osservazione di dettagli anche minimi, quelle piccole tipicità che sfuggono all’osservatore superficiale e che rendono alcune persone veramente speciali.

Si ride di tanti aneddoti personali e delle interazioni con gli abitanti dell’isola, usciti da un film di Francis Veber o Dany Boon, come l’Uomo Scarabeo (fantastico) o il detenuto lasciato lì per una gita temporanea e gli appuntamenti con vari tutor (incluso uno con un’impressionante collezione di uccelli), il dottore che cerca di curare tutti i mali con rimedi improbabili, il tassista che guida spericolato su strade sterrate e il vicino che parla in dialetti incomprensibili. Gerald Durrell ha un talento incredibile per trasformare la vita quotidiana in un’avventura esilarante. Le sue descrizioni sono così esilaranti, vivide e avvincenti che sembra di essere lì con lui, a correre dietro a una lucertola o a scoprire un nido di uccelli esotici. E ogni volta che pensa di aver trovato un po’ di pace, ecco che un nuovo pasticcio familiare lo riporta alla realtà.

Ma la poesia? “A poco a poco la magia dell’isola si posò su di noi dolce e appiccicosa come il polline. Ogni giorno aveva una tranquillità, un’atemporalità, che avresti desiderato non finisse mai. Ma poi la pelle scura della notte si staccava e ci sarebbe stata una giornata fresca ad aspettarci, lucida e colorata come il trasferello di un bambino e con la stessa sfumatura di irrealtà.

Naturalmente, i protagonisti di questo libro un po’ memoir un po’ bestiario, sono gli animali: Roger, il suo fedele cane; un gabbiano dispettoso che decide di fare il bagno nella zuppa di famiglia; le gazze che sbranano il manoscritto di Gerry; il “matrimonio” e la “luna di miele” di una tartaruga (v.m. 14); una feroce battaglia all’ultimo sangue tra un mantide religiosa e un geco; il lancio degli scorpioni che non vi spoilero… Col suo modo di “umanizzare” gli animali, Durrell ci rammenta che lo siamo anche noi: siamo parte del tutto ed è fondamentale, oggi più che mai, avere rispetto del diorama nel quale siamo immersi. No, non parlo di vestire il cane da elfo con tanto di cappottino e sciarpa e portarlo nel passeggino (visto con questi occhi, giuro), ma questi non sono “solo animali” bensì una parte importante e vibrante della sua (e della nostra) vita. Non dimentichiamo, per esempio, che Roger è un cane:

Roger e io stavamo accucciati per ore nell’erica, guardando le tartarughe cavalieri nelle loro armature inadeguate che gareggiavano per le dame, e le gare non mancavano mai di intrattenerci. A volte scommettevamo l’uno con l’altro su chi avrebbe vinto, e alla fine dell’estate Roger aveva sostenuto così tanti perdenti che mi doveva una considerevole somma di denaro.”

O ancora, osserviamo questo incontro con una coppia di rospi:

Si accovacciarono lì come due Buddha obesi e lebbrosi, scrutandomi e deglutendo in quel modo colpevole che hanno i rospi. Tenendone uno in ciascuna mano, era come maneggiare due palloncini flaccidi e coriacei, e i rospi sbattevano le palpebre con i loro begli occhi filigranati d’oro verso di me. Si sistemarono più comodamente sulle mie dita guardandomi con fiducia, mentre le loro bocche larghe e carnose sembravano aprirsi in sorrisi imbarazzati e incerti.

Commuove che il Gerald Durrell si è dedicato alla protezione delle specie in via di estinzione durante la sua vita adulta. Un’impresa davvero ammirevole.

Commovente ed esilarante. Care le mie bestie, uno dei libri migliori che leggerete oggi!

Alla prossima!

Michele Lamacchia

Le parole creano mondi


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