Il Maestro e Margherita: lotta per la Libertà Artistica e amore impossibile.

Amiche e amici, come state? Io bene. Stavo scendendo dandoti il braccio almeno un milione di scale, quando ho inciampato nella gatta che mi ha bestemmiato i morti. A quelle sue parole, mi sono sconcertato! E mi è tornato in mente uno dei più grandi capolavori della letteratura di tutti i tempi.

Quando ho letto per la prima volta Il Maestro e Margherita, è stato come essere investito in pieno da una botta di vento, un fulmine, un raggio fotonico, un’alabarda spaziale. Immaginate, non lo so, la prima volta che avete visto la televisione a colori, per dire (no, non così indietro ma non mi vengono altri esempi). Per me che già mi misuravo con la scrittura, è stato come scoprire che scrivendo tutto è possibile. TUTTO.

Mettere in scena personaggi grotteschi, osceni, potenti, istrionici, divertenti, ridicoli, gatti parlanti, donne nude su scope volanti… Puoi far venire Satana sotto mentite spoglie e farlo parlare con quei diavoli della Russia stalinista. In un contrasto stridente e onirico che ti rapisce, puoi saltare fluidamente tra la Mosca degli anni ’30 e l’antica Gerusalemme e seguire il dietro le quinte del processo più famoso della storia, quello di Ponzio Pilato vs Gesù. Puoi assistere alla storia d’amore più struggente che ci sia.

«Lei non è Dostoevskij,» disse la donna a cui Korov’ev faceva perdere il filo.
«Be’, chi lo sa, chi lo sa,» rispose lui.
«Dostoevskij è morto,» disse la donna, ma con poca convinzione.
«Protesto!» esclamò calorosamente Korov’ev. «Dostoevskij è immortale.»

I russi, si sa, sono troppo forti. Bulgakov firma un capolavoro della letteratura che mescola magistralmente elementi del realismo, del fantastico e del surreale, in un’opera unica nel suo genere. Tre, a mio parere, i macro-temi che conducono il lettore: la critica alla società sovietica degli anni ’30 (e i cicli storici rendono sempre tutto attuale, ciao Vlad), l’esplorazione di questioni filosofiche e morali dirimenti e, margine di queste ma tema a sé, le questioni legate all’amore impossibile.

“L’amore è balzato davanti a noi dal nulla, come un assassino in un vicolo, e ci ha colpiti entrambi, nello stesso istante. Così colpisce la saetta, così colpisce il coltello a serramanico. Ma lei, in seguito, sosteneva che non era successo così, e che noi ci amavamo già da tanto, tanto tempo prima, senza conoscerci, senza esserci mai visti”

Surrealtà e magia: il diavolo, Woland, arriva a Mosca, accompagnato da una corte di strani e grotteschi compagni, tra cui il famigerato gatto Behemoth (oggi sarebbe rappresentato da Luci, il demone personale della principessa Bean di Disincanto NON DITE DI NO!). Questi personaggi sovvertono l’ordine naturale delle cose, creando situazioni assurde e paradossali per mettere in trappola gli ignari cittadini. La loro presenza a Mosca non è solo una fonte di caos e di commedia nera, ma anche un mezzo per svelare le ipocrisie e le corruzioni della società sovietica. Proprio come Bulgakov confonde le aspettative dei suoi lettori di un mondo unificato e senza soluzione di continuità, così Woland, il diavolo al centro dell’azione magica, ci fa mettere in discussione le nostre ipotesi sul bene e sul male. Fin dalla sua apparizione nel primo capitolo, Woland presenta una figura sorprendente e sconcertante.

Il Maestro fa la sua comparsa relativamente tardi nel romanzo, nel capitolo 13: “l’apparizione dell’Eroe”. Tuttavia, non è l’eroe tradizionale: è un uomo distrutto, vive in un manicomio, ricorda il suo amore per Margherita, ma allo stesso tempo volta le spalle all’arte che Margherita amava, proteggeva e onorava: il suo testo su Ponzio Pilato, un romanzo dentro del romanzo. In una lunga conversazione, il Maestro dipinge un ritratto idilliaco della sua vita con Margherita, che crea un accogliente santuario pieno di rose e amore, in cui la parola scritta è apprezzata e rispettata. Ma a un certo punto tutto si spezza. Bulgakov descrive il Maestro come un uomo distrutto, la cui perdita di spirito e codardia di fronte alle avversità lo ha portato a perdere tutto ciò che aveva valore nella sua vita.

Margherita però è sposata con un marito di successo che la adora. I due vivono in un grande appartamento con molta privacy, un vero lusso nella Mosca stalinista. È bella, ma non riesce a lasciarsi alle spalle la profonda insoddisfazione per la sua vita, apparentemente perfetta in superficie, ma senza profondità. Sta vivendo una bugia. La sua disperazione inizia a scemare quando fa un sogno sul Maestro, che vede come un presagio che il suo tormento finirà presto. Maestro che però brucia il suo romanzo e sparisce. Margherita allora vuole ritrovare l’amore della sua vita e non trova migliore idea che vendere la sua anima al diavolo. La sua trasformazione è un atto di coraggio e di amore incondizionato, che la porta attraverso un viaggio surreale pieno di pericoli e di meraviglie.

Questo viaggio è il cuore del romanzo: la storia d’amore profonda e tormentata tra il Maestro e Margherita, straordinaria per la sua intensità emotiva. Il ballo di Satana al quale partecipa la bellissima Margherita fatta strega e descritto con ricchezza di dettagli fantastici e grotteschi non è semplicemente decorativo, ma serve a esplorare temi più profondi, come la libertà, la giustizia e la redenzione.

“Tutto sarà sistemato, questo è ciò su cui è costruito il mondo”.

Il vero male ne Il Maestro e Margherita non sorge dall’Inferno, ma proviene invece dalla meschinità e dall’avidità degli esseri umani imperfetti e dalla mentalità ristretta.

Il rapporto tra il Maestro e Margherita è anche una riflessione sulla forza dell’arte e dell’amore contro l’oppressione e la censura. Il manoscritto del Maestro, che racconta una versione umanizzata e complessa della storia di Pilato, è un simbolo della verità artistica che non può essere distrutta, nonostante le forze contrarie.

Ci sarà mai una redenzione e la vittoria dell’amore e della verità sull’oscurità e sulla repressione?

Veniamin Kaverin scrisse che «per originalità sarà difficile trovare un’opera che gli stia a pari in tutta la letteratura mondiale», mentre il nostro caro Eugenio Montale definì il romanzo: «un miracolo che ognuno deve salutare con commozione». Il Maestro e Margherita è, in virtù della sua stessa esistenza, una testimonianza della necessità dell’arte in tempi di repressione e dell’urgente necessità per gli artisti di abbandonare la codardia e di mantenere saldamente il proprio impegno a vivere una vera vita reale. la vita umana, con fantasia e realtà combinate, con storia e invenzione che si alimentano a vicenda, con il bene e il male che forniscono le ombre e la profondità che rendono la vita significativa e reale.


Questo libro può essere incredibilmente divertente un secondo, e il momento successivo diventare dolorosamente triste e molto deprimente. Non sorprende che nella tradizione russa l’umorismo e la tristezza siano sempre andati di pari passo; non a caso, i clown russi sono i clown più tristi dell’intero universo. Dilettevole, pregno di umorismo, tenerezza e satira, geniale, magistralmente scritto, Il Maestro e Margherita è uno di quei classici che valgono la pena leggere senza esitare. Ancor più se si pensa alla genesi tormentata del libro, cominciata nel 1926 e terminata solo quarant’anni più tardi (e in Russia solo nell’89! sì, quello che state pensando) dopo numerose versioni, censure radicali, manoscritti distrutti nel fuoco e ricominciati da capo più e più volte. In preda alla disperazione, tra il 1929 e il 1930 Bulgakov scrisse tre lettere a funzionari del governo sovietico, tra cui Stalin, per protestare contro la sua censura e implorargli la possibilità di praticare la sua arte, se non in Russia, al di fuori di essa.

“Per me non poter scrivere è come essere sepolto vivo”

Nella lettera finale, datata 28 marzo 1930, Bulgakov descrive in modo commovente la sua dura prova, sostenendo che il suo dovere di scrittore è difendere la libertà artistica e sostenendo che essere messo a tacere equivaleva a morire. Continuò a provarci, fino alla completa cecità, smettendo di scrivere a quattro settimane dalla morte.

“Dei, miei dei! Com’è triste la terra di sera! Come sono misteriose le nebbie sulle paludi! Chi ha vagato in queste brume, chi ha sofferto molto prima della morte, chi ha volato sopra questa terra portando un peso superiore alle sue forze, lo sa bene. Lo sa colui che è stanco. E senza rimpianto abbandona le nebbie della terra, le sue paludi e i fiumi, si consegna con cuore leggero nelle mani della morte sapendo che lei soltanto…”

(Nelle immagini, una parte delle edizioni italiane del capolavoro russo: voi quale avete?)

Michele Lamacchia

Le parole creano mondi


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