L’arte della guerra: strategia o tragedia del nostro tempo?

Ciao amiche e amici, come state? Io non benissimo e, come sempre, alterno letture contemporanee a classici della scrittura. Un po’ come si fa con amiche e amici che oggi esci con questo perché ti conviene, domani con quell’altro perché ti fa comodo ma forse ho sbagliato l’esempio. A ogni modo.

Sopraffatto dalle notizie di cronaca e dall’attualità, ho ripreso in mano L’arte della guerra di Sun Tzu, qui in una consunta edizione economica e disastrata di Feltrinelli (è la fine che fanno i miei libri, specie quelli di qualche anno fa, segnati irrimediabilmente da viaggi in tasca, zaini, cartelle, e così via).

L’arte della guerra di Sun Tzu è un’opera che, pur essendo scritta più di 2500 anni fa, continua a risuonare nelle trincee del nostro presente. Ed è proprio in un mondo dove le guerre non sono solo il rumore assordante dei mortai, ma anche quello delle strategie, delle manipolazioni politiche e dei giochi di potere, che il pensiero di Sun Tzu acquista un significato di tragica attualità.

In questo trattato millenario, il grande generale cinese non ci parla solo di battaglie fisiche, ma di guerre che si giocano sul piano psicologico, economico e sociale. Le sue parole – “Conosci te stesso e conoscerai l’avversario” – risuonano come un avvertimento per i leader mondiali che sembrano, in molti casi, più impegnati a rincorrere il consenso pubblico che a confrontarsi con la realtà dei conflitti globali. La guerra, secondo Sun Tzu, è un’arte sottile e raffinata, fatta di inganni, astuzia e precisione chirurgica. Un’arte che non richiede solo la forza fisica, ma una profonda conoscenza delle dinamiche politiche, delle alleanze, e delle debolezze nemiche.

Oggi, quando i conflitti non si limitano più ai campi di battaglia tradizionali ma si estendono ai confini digitali, economici e ideologici, l’insegnamento di Sun Tzu non è mai stato più pertinente. La guerra in Ucraina, per esempio, non è solo una questione di linee di frontiera e bombardamenti: è una guerra di informazione, una guerra tecnologica, una guerra economica. Pensiamo a come la Russia di Putin sia riuscita a convincere anche i più ortodossi della bontà della sua invasione spacciata per una “guerra antinazista” anziché per quello che è: un’irresistibile voglia di sterminare un popolo e annettere l’intera Ucraina (con città rase al suolo, centrali nucleari annientate, centri commerciali, ospedali, scuole abbattute, rapimenti in massa di bambini*). Non menziono di proposito quei movimenti e partiti perlopiù fascio-leghisti che parlano di Putin come l’amico liberatore (dalle grinfie del “tiranno europeo”) e protettore (dagli orrori dell’Occidente quali, ad esempio, la salvaguardia dei diritti delle minoranze) i quali fanno propaganda per intimo gaudio o sostenuti economicamente (come rilevato dall’intelligence) direttamente dal Cremlino.

Non è curioso come queste due anime del dissenso si tocchino senza alcun indugio? Secondo voi perché? Per ottusa convinzione, stupidità (e allora dici: “poverini…”) o perché in fondo siamo tutti la stessa specie, tutti umani (“tu no ca’ sì niro niro“), figli e fratelli (“tranne te che sei femmina, tu che sei fr*ci* e tu peggio ancora tran$ maronn’ che latrin’…“)? Come al solito, opinioni e discussioni aperte qui, sui social o in pvt (però a sto giro basta accuse, minacce e infamie: quelle solo se avete la “fedina sociale” pulita, se no niente scagliare la pietra che mi sarei anche rttilczz).

Se analizziamo le mosse strategiche di entrambi gli schieramenti, ci rendiamo conto che la lettura de L’arte della guerra potrebbe facilmente rivelarsi la chiave di lettura per interpretare le mosse politiche e militari in atto.

Le crisi moderne, che si tratti delle tensioni in Medio Oriente, della competizione geopolitica tra grandi potenze o delle battaglie silenziose delle sanzioni economiche, non sono altro che il riflesso della guerra “invisibile” descritta da Sun Tzu. La sua raccomandazione di evitare la battaglia diretta, quando possibile, e di minare il nemico attraverso la destabilizzazione interna, l’uso della diplomazia e del controllo delle risorse, è ben visibile nel modo in cui le potenze mondiali affrontano le sfide odierne. In fondo, come recita una delle sue citazioni più celebri, “La suprema arte della guerra è sottomettere il nemico senza combattere“.

Nel nostro mondo interconnesso, dove la guerra non è mai dichiarata in modo ufficiale, ma si svolge in maniera silente e pervasiva, L’arte della guerra ci ricorda che la vera battaglia non è solo quella che vediamo nelle notizie, ma quella che si svolge nei consigli dei ministri, nelle trattative tra multinazionali, nelle sanzioni economiche, nelle pressioni psicologiche esercitate sui popoli. Eppure, nonostante l’avanzare della tecnologia e la globalizzazione, le regole di Sun Tzu non hanno perso la loro forza.

In un contesto storico come il nostro, sempre più disilluso e frantumato, possiamo solo chiederci se gli insegnamenti di Sun Tzu siano davvero applicati dai decisori politici, o se siamo ormai entrati in un ciclo di conflitti dove la guerra, anche quella silenziosa, sembra l’unico linguaggio che i potenti siano in grado di parlare. La sua frase “Chi vince, è colui che sa quando combattere e quando non combattere” suona quasi come una condanna per il nostro tempo, dove, troppe volte, la guerra sembra l’unica risposta.

Infine, se c’è una lezione che dobbiamo trarre da questo antico trattato, è che la guerra non è mai una soluzione definitiva, ma un calcolo che può facilmente sfuggire di mano. In un mondo dove le armi non sono più solo quelle che tengono in mano gli eserciti, ma anche quelle che muovono le menti attraverso la propaganda e la disinformazione, l’arte della guerra di Sun Tzu ci sfida a riflettere: siamo davvero in grado di riconoscere il momento in cui è meglio fermarsi, piuttosto che scatenare un conflitto che potrebbe distruggerci tutti?

Ecco, L’arte della guerra non è solo un manuale per la strategia militare, ma un monito, un avvertimento che attraversa le epoche: non è mai troppo tardi per conoscere sé stessi, per evitare la battaglia che non possiamo vincere, per capire che la vera forza risiede nell’intelligenza, nella lungimiranza e nella consapevolezza che, a volte, la guerra non è mai la risposta giusta.

Intanto, tutto diventa strategia: vediamo a chi mi posso accollare stasera se all’amico che mi fa comodo o a quello che mi può servire. Ciao ciao!

Michele Lamacchia

Le parole creano mondi

*Invito chiunque a informarsi a fondo sullo svolgimento dei fatti in Donbass evitando fonti annacquate tipo Wikipedia che denuncia numerose lacune e infiltrazioni da parte delle rispettive “tifoserie” russe e ucraine. Per dovere di cronaca e per avere un’idea delle proporzioni, riporto che la stima dei morti per l’invasione di quella zona è stata di circa 14mila persone di cui oltre tremila civili, mentre a oggi i morti per la scellerata invasione dell’Ucraina si parla di circa 350mila vittime e un milione e mezzo di feriti, di questi un quarto sono civili. In quanto ai bambini sottratti alle proprie famiglie e fatti sparire, si stima una cifra di circa trentacinquemila vittime deportate con la forza (come se, in un attimo, a sparire fosse l’intera popolazione di Afragola – ok, ma non c’è bisogno di festeggiare…). Queste deportazioni sono state ampiamente condannate come crimini di guerra e potenziali atti di genocidio. Per queste deportazioni illegali, nel marzo 2023 la Corte Penale Internazionale ha emesso mandati d’arresto per il presidente russo Vladimir Putin e per la commissaria per i diritti dei minori, Maria Lvova-Belova (al pari di Thomas Lubanga condannato per il reclutamento e l’impiego di bambini soldato, o Germain Katanga per la riduzione in schiavitù di numerosi prigionieri e l’utilizzo di bambini soldato o, ultimo, il tenero Benjamin Netanyahu per vari ed eventuali crimini in fase di aggiornamento).

Vi piacciono i bambini? A loro sì, evidentemente. Si può essere amici di questi criminali signori? “Ma non dico viverci, ma un’uscita, un caffè, una cena insieme, perché no? Guarda che faccino! Non ti fa tenerezza?” Evidentemente sì.

Delle modalità di rapimento, mi piacerebbe parlarne in un altro post. La restituzione dei bambini risulta essere una delle condizioni imprescindibili che l’Ucraina ha posto per le trattative di pace. A oggi, solo 1366 bambini sono stati rimpatriati.


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