Non parlo quasi mai di me (privato, intendo). Ma l’altro giorno ho ritrovato questa foto. Questa foto è stata scattata qualche anno fa in un momento molto particolare: avevo appena finito una delle mie esibizioni, riemergendo dal buio della mia installazione (un cubo nero chiuso e io dentro, vestito completamente di nero, che dipingevo miei racconti brevi – o meglio: delle denunce – che comparivano fluorescenti su pannelli in plexiglas sospesi in aria). Ero sudato fradicio e ogni esibizione (?) divisa in due “atti” (?) durava quattro ore, con una pausa di dieci, venti minuti tra una parte e l’altra. Avevo appena terminato ed ero contento sia di aver finito e di poter tornare a respirare, sia della riuscita della prova, sia dell’affetto clamoroso del pubblico e sia di quello del gruppo di artisti che, in quel periodo, mi trovavo a gestire.
Un giorno di qualche anno fa (non avevo ancora tutti questi capelli bianchi), circondato da persone che avevano del talento da esprimere, decisi di inventarmi un’Associazione Culturale, di cui divenni presidente (e schiavo). Un’Associazione Culturale senza scopo di lucro, gli iscritti erano tutti volontari e, da statuto, aveva un unico obiettivo: la promozione e la diffusione dell’Arte e della Cultura (sì, fuoco alle battute su quanto io abbia veramente a che fare con queste due materie, ok). E, per farlo, ci si inventava qualsiasi cosa (e di questo ne riparleremo).
Avevamo una sede, che era la mia galleria d’Arte, in una piccola piazza di questa città dell’Alto Salento, e dove tutti gli iscritti (e non solo) potevano esporre le loro creazioni e dove ci si poteva incontrare, confrontare e inventarsi corsi e seminari per avvicinare chiunque alle cose belle. Ogni mese organizzavamo un evento in piazza e, più o meno ogni trimestre, qualcosa di più grande (tipo le notti bianche o spettacoli “sceneggiati” dove stavano insieme musicisti, artisti visivi e ballerini) in questa o in altre città dove ci invitavano.
Quando quel giorno sono uscito dal mio cubo, stanco e disidratato, Floriana, l’autrice di questo scatto, (una grande artista digitale di cui descrivere qui il lavoro sarebbe riduttivo e incompleto, spero di poterlo fare in un altro post), una dei cinquanta tra ragazzi e ragazze che in quel momento erano iscritti all’Associazione, mi fece questo ritratto e mi disse: “Guarda, questo sei tu adesso! Finalmente hai una foto!“. Tralasciando il fatto che io avrei solo voluto un asciugamano e un bottiglione di acqua, ma quello ero io in quel momento: ero felice. Felice per quei ragazzi, per quelle persone, per quel senso di festa e di bellezza, felice per me che potevo dire le mie cose a tutti e soddisfatto perché tutto funzionava bene. Quel giorno mi intervistò la televisione e io dissi che eravamo in tanti e, anche se avevamo già quasi quattro anni di esperienza alle spalle, avevamo l’umiltà di dirci che era solo l’inizio. C’era la musica, le luci, centinaia e centinaia di persone…
Era un momento e basta, però, uno spartiacque. Fu un fotogramma, un ritratto. Per una serie di ragioni (che hanno poco a che vedere con la bellezza, con l’Arte, la Cultura, la gratuità e il volontariato) quello fu, però, l’ultimo spettacolo, l’ultima apparizione pubblica, l’ultima volta, dopo quasi quattro anni di attività, di sudore e di fatica, in cui scrissi in pubblico le mie denunce. A un certo punto succede che, quando le cose funzionano, a nessuno interessa più spendersi per uno scopo (che non sia il proprio personale interesse) e così perdi i riferimenti per strada, perdi l’appoggio delle istituzioni, perdi le persone, perdi tutto. Poi cosa? Poi decisi di mettermi a lavorare in un altro modo, decisi che dovevo continuare a scrivere e a esprimermi, ma da solo.
Ci ho messo diversi anni, poi, prima di ritornare a parlare in pubblico, in mezzo alle persone, a credere in me e in quello che facevo e che faccio. Ci ho messo anni prima di tornare a sorridere e a ricostruire le cose, me stesso per primo. Ora lo faccio, sempre più emozionato e sudato.
Piano piano, atto dopo atto. Parola dopo parola. Io per primo. Sempre grato.
Che tu fossi un essere speciale, questo lo sapevo già.. ma che fossi così immenso michi, mi mette i brividi.. mi metti i brividi. Scrivere ti permette di mostrarti sempre, ma è sempre tra le righe che io ti trovo; tra un sorriso soffocato tra due parole; tra i tuoi sogni in un punto esclamativo; il tuo amore tra le tue battute. Perché sei così michi incredibile e sublime. Adoro ritrovarti tra le righe, perché è lì che sta il michi che conosco io, è lì che sta quel sorriso che mi sta così al cuore.
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Troppo gentile, grazie 😊 cerco solo di fare quello che posso e come posso. A passi piccoli. Ancora grazie 🤗🌷🌼🌻
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