
Ciao amiche e amici, come state? Io bene, pensavo alla mia vita passata a prendere bus, treni e aeroplani, e mi è tornato in mente Björn Larsson e la sua Filosofia minima del pendolare, in Italia per Iperborea. Tra facce incazzate, gente che urla al telefono, amicizie e amori nati tra i sedili, il pendolare è attore e spettatore dell’eterno brulichio nei mezzi pubblici.
Leggendo Filosofia minima del pendolare si ha l’impressione di fare un viaggio interiore, una sorta di contemplazione dei momenti sospesi che costituiscono il quotidiano. Björn Larsson – che in questa narrazione personale e voyeuristica al contempo si autodefinisce “il testimone” – ci conduce con delicatezza attraverso quarant’anni di pendolarismo vissuto tra Danimarca, Svezia e Italia, in treni, traghetti, autobus e qualche volo aereo: una geografia quotidiana che entra nella letteratura come fosse una piccola mappa emozionale, fatta di gesti, attese e dettagli apparentemente insignificanti.
Il tono del libro è lieve ma non superficiale: Larsson osserva la fauna umana dei mezzi di trasporto – i posti che le persone preferiscono, le frasi bisbigliate, le nevrosi quotidiane – guardando il mondo con occhio curioso e insieme con gentile rispetto, come chi scruta la natura senza volerla cambiare, solo capirla un po’ meglio. L’ironia è sottile, mai invadente, e serve a stemperare i piccoli disagi del viaggio: ritardi, vagoni affollati, telefonate troppo rumorose trasformate in spunti di riflessione sull’energia sociale che si muove e sopporta .
La scrittura di Larsson, tradotta da Andrea Berardini, è gentile e rassicurante: una discesa calma lungo le sue note, che alternano commento filosofico e confessione personale. Cita autori come Martinson, De Beauvoir, Orwell, Beckett e Camus, intrecciando citazioni letterarie e riferimenti filosofici con la semplicità di un compagno di viaggio che spiega ciò che sa, senza alzare la voce.
Pur affrontando temi profondi come lo sradicamento, l’identità, la pandemia, il capitalismo e le trasformazioni sociali, Larsson lo fa con uno sguardo sereno: ogni episodio diventa occasione per una riflessione più ampia, ma senza fretta. Anche il linguaggio, nelle sue sfumature, diventa un campo di osservazione: come sta cambiando, cosa si perde, cosa si guadagna nel chiacchiericcio quotidiano dei pendolari.
La sensazione che si percepisce, leggendo, è quella di una voce amichevole che ti parla accanto. Non c’è dramma, non c’è esacerbazione: tutto è raccontato con una lucida dolcezza. Nelle pagine emerge il valore dei momenti minimi, dei puntini tra parentesi che sono il pendolarismo stesso — parentesi che Larsson trasforma in spazi di consapevolezza esistenziale.
In conclusione, Filosofia minima del pendolare è un piccolo libro grande per idee, scritto con una sobrietà brillante che rassicura e incoraggia a guardare i nostri viaggi quotidiani con occhi nuovi. È lettura ideale non solo per chi passa ore sui mezzi, ma anche per chi desidera riscoprire il senso delle pause, dei sospesi, delle vite che si intrecciano senza clamore.
Ma a voi, l’idea di spostarvi in continuazione vi mette più ansia, stanchezza, entusiasmo, voglia di vivere, sensazione di premorte o che?

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