Dal paradiso all’inferno

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Dal paradiso all’inferno

Percorrendo la litoranea a nord della città, quella che – per capirci – si allontana perimetrale all’aeroporto del Salento e dallo skyline di camini e torce al plasma delle aziende chimiche, ad un certo punto trovai delle transenne. Transenne che bloccavano la vista di quella che era la mia passeggiata a mare preferita.

“Che ca**o succede qui? Vuoi vedere che cementificano? MALEDETTI!”. Per capirci: parliamo di chilometri e chilometri di dipendenze militari che passano in gestione al comune e “Si sa come vanno queste cose”.

Mi avvicino e stupisco: dall’altra parte della recinzione avevano costruito pontili in legno e plastica riciclata, percorsi cicloturistici, sentieri tra piante odorose e boschetti di piante giovani. Un paradiso per un territorio così maltrattato.

Venite bambini, presto, seguitemi, ma non si può! Lo so che non si può, facciamo presto! straordinario, tutto pulito, “europeo”, chi l’avrebbe detto, e se viene qualcuno? Papi, mi viene da correre! E corri! CORRI! Bambini felici che corrono, si inseguono, saltano, cadono, l’aria e la luce calda del tramonto, il pensiero a quando inaugureranno questo parco (che ricordo abbandonato, sporco e pericoloso) e questa diventerà una bella passeggiata naturale dove girare in bici, venire a correre o portare i bambini al mare, questa luce negli occhi sembra simbolica, lascia sperare bene.

Oggi pomeriggio fiamme alte e nere, fumo denso e cenere, l’inferno di sirene e autobotti dei vigili del fuoco e quel parco naturale appena inaugurato è già chiuso.

Lo spettacolo è finito, andatevene via, non c’è più niente da vedere.

“Incendio al parco di Punta del Serrone, litoranea nord di Brindisi. L’area naturalistica si affaccia sul mare e fino a qualche mese fa, prima che il Comune desse il via all’intervento di bonifica, era un cumulo di rifiuti. Restituita al suo splendore, con tanto di cerimonia inaugurale a giugno scorso, per mano degli attentatori entrati in azione in pieno giorno, l’area è tornata ad essere una enorme culla di macerie.” (Repubblica.it)

 

Michele Lamacchia

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