La verità che brucia

Amiche e amici come state? Io confuso. Ero dal fruttivendolo per comprare delle cose e mentre notavo come la frutta e la verdura abbiano ormai assunto le forme e i colori perfetti, capivo che qualcosa era ormai cambiato. Sparito il giornale che Pinu’ usava per avvolgere i gambi di sedano e le cime di rape, al suo posto sono comparsi rotocalchi insulsi che replicano programmi televisivi dalla dubbia qualità, svelandone i retroscena e stuzzicando la curiosità del lettore barra telespettatore. Chi è Moreno? Come mai ha quella barba così disegnata? E perché è così conteso? E questa Silvia? Oltre a sfoggiare la manicure e tenere le menne sempre in mezzo perché è tanto odiata dal pubblico femminile? Ma soprattutto: perché la gente paga quaranta euro per prendere un drink dove questi vanno a fare la sola presenza? Mentre cercavo risposte a queste domande, sono andato via quasi senza salutare.

Da vecchio, inabile al suo proprio lavoro, mio nonno si mise a vendere la frutta e la verdura. Lui, classe 1910, per essere un signore nato e cresciuto nel profondo meridione d’Italia tra le varie guerre, avrebbe dovuto essere (dati alla mano) con buona probabilità un analfabeta o un ragazzo appena scolarizzato. Invece mio nonno (che adoro e che saluto) non solo aveva fatto la guerra da partigiano (*disc.: non mi venite a rompere il cazzo a me con la retorica antifascista, ehi!), ma aveva anche fatto le scuole alte, si era diplomato e aveva una grafia bellissima, ordinata e a tratti barocca. Nulla a che vedere con quello che riguarda i suoi successori (me compreso), dei sciemi patentati che scrivono di sciocchezze, male e a zampe-di-gallina. E leggeva. Tutti i giorni che il Signore mandava in terra, mio nonno usciva la mattina prima dell’alba e, con il suo piccolissimo Ape Piaggio, andava in edicola a comprare i giornali. Poi si guardava i telegiornali (Rai Tre, Rai Due e Rai Uno, in quest’ordine) e infine si ascoltava i radiogiornali (Rai Radio Uno, mi pare).

Ogni Uomo deve avere le sue opinioni e per farsele deve essere bene informato. Un Uomo ben informato non si fa imbrogliare.

Che rapporto abbiamo con l’informazione? Il giornalismo d’inchiesta è morto? Sta morendo? Cercare le notizie è scomodo? Talmente scomodo da non valerne la pena? I giornalisti si auto-censurano e così vivono meglio e in grazia di Dio?

La maggior parte degli italiani si dice informato attraverso internet. Internet che, nell’esprimere queste informazioni, per ragioni pubblicitarie o manipolazione di opinioni, porta ad assegnare un’importanza straordinaria più al click-baiting (quel fenomeno di marketing che consiste nell’attirare i click) che alla solidità della notizia stessa. Semplificando: questo fatto ha portato, nel tempo, a preferire la produzione di notizie sciocche ma di impatto social, se non del tutto false (le fake news, vero dramma dell’informazione 2.0 e oltre e di cui parleremo in un altro apposito post).

Le altre concause che, a mio parere, stanno contribuendo alla disgregazione dell’informazione, sono: l’autocensura (i giornalisti, pressati da forze esterni quali politica e direzioni editoriali mosse da interessi, preferiscono evitare di essere ficcanti o di occuparsi del tutto di raccontare certi accadimenti scegliendo cronaca che non disturbi o, nel peggiore dei casi, dimostrandosi acriticamente di parte); il discredito in toto da parte della politica o dei movimenti di opinione (“i giornalisti sono pennivendoli”, “infimi sciacalli” e “puttane”); una retribuzione sempre più scarsa (dove siti, riviste, giornali, etc. preferiscono spendere meno o pagare in visibilità, è più ragionevole che la qualità del servizio reso sia proporzionale: scrivere un pezzo, ricercare le fonti, recarsi sui luoghi dei fatti, intervistare le persone, rischiare ha un prezzo che la sola passione non può mai compensare). Poi non vi lamentate.

In questo brutto scenario, però, sopravvivono delle sacche di resistenza. Di giornalisti con la G maiuscola che si sporcano le mani e non si fanno intimorire. Alcuni di questi, introdotti da Riccardo Iacona, giornalista e conduttore oggi di Presadiretta, hanno raccolto i resoconti di alcune inchieste in questa antologia recentemente pubblicata da Meltemi editore.

In Italia sotto inchiesta, ci vengono raccontate delle cose di cui non sappiamo nulla! Delle dinamiche di cui altrimenti saremmo all’oscuro. Troviamo Antonio Crispino (Corriere della Sera) che ci porta a Napoli, dove introduce nella realtà camorristica della gestione delle case popolari, e ci spiega come funziona un sistema collaudato da anni al quale lo Stato ha dovuto rinunciare a combattere per “evitare una guerra”; Danilo Procaccianti (l’Unità, Presadiretta) ci trascina in giro per l’Europa inseguendo ciarlatani che impazzano con le loro seguitissime teorie circa il cancro come risultanza di una malattia psichica, dove “Le case farmaceutiche non creano cure ma clienti” e che le malattie in realtà si chiamerebbero “benattie”; Sara Giudice (Piazzapulita), mi ha fatto capire perché sono potenzialmente più pericolosi, più integralisti, di quelli che si convertono all’Islam, ed è perché “hanno la possibilità di raccontare una storia diversa che riguarda se stessi”. E lo fa portandoci non in medio oriente, non in Libia o in qualche altro posto del maghreb, ma lungo le strade della provincia barese, accompagnando, vestita col niqab, Muhammad Alfredo a bordo del suo tir lungo sedici metri; Nello Trocchia (Nemo, L’Espresso, Il Fatto Quotidiano) ci porta in Calabria, tra massoni che gestiscono da anni le amministrazioni, gli appalti e la cosa pubblica; Luca Chianca (Report, Corriere della Sera), finalmente ci aiuta a fare il punto della situazione su che cosa sia il Mose e a che punto è l’opera forse più costosa della storia della Repubblica, che ancora non è completata e già ha bisogno di manutenzione perché si sta arruginendo, Mose che, debole delle sue tangenti e delle collusioni, forse non si riuscirà mai a finirere e che, con assoluta certezza, non servirà a salvare San Marco; Manuele Bonaccorsi (Piazzapulita, Report, Left) racconta come il nostro Stato elargisce soldi pubblici ad aziende private (e questo è un bene) ma che queste hanno usato questi soldi (carte alla mano) per aprire all’estero (e questo è il male), sostanzialmente per licenziare, per aumentare i profitti a danno dei lavoratori (per non parlare del jobs act e delle assunzioni senza più l’articolo 18); con Giorgio Mottola (Report, Corriere della Sera, Il Fatto Quotidiano, L’Espresso) sappiamo che se in Italia abbiamo dovuto aspettare l’assassinio di Pio La Torre prima di avere una seria legiferazione antimafia, nel resto del mondo non esiste nemmeno la definizione di “Mafia” e, di conseguenza, applicare una legge contro i mafiosi che non siano quelli che adoperano propriamente il “metodo violento” diventa impossibile e questo aiuta in modo irrimediabile le mafie a vincere e l’impotenza delle strutture dello stato; con Amalia De Simone (Current, Crash, Reuters) ci addentriamo in un territorio spietato, quelle delle mafie nigeriane e il loro traffico di droghe (veicolate in piccoli ovuli ingoiati dai vettori che non sono mai quelli che arrivano sui barconi: ma vi pare che i narcotrafficanti rischino di perdere il loro prezioso carico in condizioni tanto precarie quanto una traversata in zattera?), armi che possono essere importate senza alcun problema perché viaggiano smontate come “carpenteria”, e donne a cui vengono praticate le violenze più atroci, dove vediamo corpi fatti a pezzi e sparpagliati per le campagne; Mariangela Pira (Milano Finanza, Italia Oggi, Tg5, Skytg24), infine, ci spiega perché quello della morte di Giulio Regeni è un caso che non vuole essere risolto e che, invece, dovrebbe essere un affare di interesse dell’Unione europea tutta.

Pensavo alla frutta e alla verdura oggi nel banco e a quella, invece, che vendeva mio nonno. Questa è pulita, uniforme, lucida, bella, ma acquosa, insipida; quell’altra era brutta, grezza, imperfetta, ma succosa e saporita. Pinu’ che mi avvolge il porro con le ultime sul rapporto tra Manuel e Silvia, mio nonno che usava la carta sporca dei quotidiani nominando i morti di Bettino Craxi e di altri protagonisti delle inchieste di quel tempo.

L’abilità di questi signori sta non solo nel darci delle informazioni, ma anche di scatenare un forte coinvolgimento emotivo. Sono come scrittori che ci portano con loro sul campo e ci fanno vivere le cose come sono: acide, sporche, cattive, insopportabili. Che questo deve essere lo scopo del giornalismo: di scuotere e non di servire.

P.S.: informati e non farti imbrogliare.

Michele Lamacchia

@leparolecreanomondi

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