Tu chiamale se vuoi… elezioni

Il giorno in cui sono arrivato a Brindisi (non proprio quello stesso giorno, il giorno dopo) mi chiamò uno dei miei diretti superiori nel suo ufficio. Ci andai. Noi soli dentro la stanza. E le elezioni fuori.

Mi fece promettere che avrei votato il “suo” candidato, altrimenti «te la farò pagare da mò e per sempre». Considerando che era ancora il mio periodo di prova, questa cosa mi fece stare molto molto male, al punto da parlarne ancora oggi con angoscia. Per fortuna non feci in tempo ad essere iscritto nei registri elettorali del comune di Brindisi e votai a Bari. Sono passati diversi anni e questo odioso ricatto è ancora uno strumento attivissimo, anche se non se ne parla perché pare brutto. Mi chiedo in queste condizioni chi può dirsi effettivamente libero nell’esprimere la propria preferenza, o se davvero possano essere elette le forze e le idee più valide, più meritevoli, piuttosto che (diciamo scherzando) le più muscolari. Ora. Questo è il racconto che sto scrivendo (perché di un racconto si tratta, e basta). Scritto in prima persona, dove il protagonista è “IO”. Questo racconto è stato scritto a campagna elettorale ancora aperta e fino all’ultimo giorno (non proprio quello stesso giorno, ma proprio fino all’ultimo momento) ne vedremo presumibilmente delle belle.

Se avete notato non si usa più fare le promesse, il posto di lavoro, no, al contrario: tutti (tutti) dicono ora: «Io non ti prometto il posto di lavoro. Il lavoro non c’è». Grazie a questo. Grazie a questo espediente almeno si ripristina una traccia di realismo dopo anni di spregiudicato facciadaculismo.

Tornando al personaggio del nostro racconto. Dopo l’episodio del ricatto ha potuto confrontare la sua sconfortante esperienza con quella di decine di amici, alternando bastoni («Se non votiamo il capo sono cazzi»), e carote (altri strumenti di panza e di sostanza gentilmente offerti: il caffè pagato, l’aperitivo, il buffet, la cena nei locali più trendy, i buoni benzina, i buoni spesa, i biglietti per il campo, le concessioni, le donazioni, le elargizioni a gruppi più o meno numerosi e influenti). Fino al giorno del voto.

Godi, popolo!

Ma questo è sempre nell’ambito del racconto, della fiction. O sbaglio?

 

Michele Lamacchia

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