Nell’intervallo post-prandiale di una domenica pomeriggio, quando nelle altre case si caffeggia e si amareggia al gracchìo di “Scusa, Ameri”, nella mia casa border line, invece, si approntano misure tecniche contro la noia. Di là in salotto qualcosa tipo The Fabulous Peppa Pig o simile, nel frattempo io in cucina preparavo la magica mistura per le bolle di sapone. Ne parliamo un’altra volta, ok. Dico solo che ha qualcosa a che fare con la chimica: detersivo per i piatti, acqua, zucchero a velo (sì, zucchero a velo, perché?) e glicerina liquida. Ma ne riparliamo. Non occorre sapere cose strane, in fondo fare chimica è come fare da mangiare: mettere insieme degli ingredienti e vedere cosa succede. Almeno per me è così. In chimica ero una cima, almeno per la parte inorganica. Poi basta. Ad un certo punto non studiavo più per il voto o che-ne-so: per sfida personale. Era ormai una battaglia personale tra me e la professoressa Carnevale, una lotta più tra l’autorità (e lei lo era) e lo scapocchione (moi). Quando vuoi imporre qualcosa (lo studio, le feste comandate, le verdure) o vietarla (la TV, le droghe, gli One Direction, le pippe) vedrai che i risultati con chi è studente saranno deludenti, frustranti se non controproducenti. Nel mio caso la buona professoressa Carnevale (dio l’abbia in gloria, non so se campa ancora) aveva chiuso il primo quadrimestre con tutti 2. Tutti. Tutta la classe. Forse giusto Piizzi o Bibiana avevano preso di più, ma escludo più di 3 o 3 e mezzo. Io presi 2 meno, ma in pagella mi rimase 2 perché il meno era illegale e, suo malgrado, non lo mise. Ad un certo punto il suo metodo d’insegnamento era diventato molto asciutto e rauco, come la sua voce da tabagista incallita (ricordo quante volte si ritrovava distrattamente con il gesso tra le labbra): o impari o cazzi tuoi. Io il mio l’ho fatto, sei tu quello limitato. Fine. Ah, cara professoressa Carnevale, un giorno ci rincontreremo e forse ci metteremo anche insieme. Un giorno in cui saremo tutti carbonio e azoto e sali minerali, lei Na+ io Cl- (anzi Cl2: perché ce ne vorranno sempre in più di me per fare lei, dalla schiena troppo curva per il troppo studio e le unghie troppo gialle per le troppe MS). Quindi mi misi sotto e studiai: per sfida. In poche settimane sapevo tutti i segreti della chimica organica, alla faccia delle costrizioni “carnevalizie”. Non ebbi il tempo di diventare abbastanza bravo da riuscire a capire come comporre in casa la nitroglicerina necessaria, in quegli anni di furiosa e ormonica ribellione adolescenziale, a far saltare in aria la sedia della prof o, se necessario o utile, l’intera scuola. Capii c’entrasse qualche sale di azoto (nitrito o nitrato) e al cento per cento – facile – la glicerina. Così andai in farmacia a cercarla. «Glicerina», «Per farne cosa? Delle supposte?», «Esplosive, eh eh eh…», «Prego?» Finito l’anno scolastico arrivò l’estate e la glicerina mischiata a sapone, acqua e zucchero ci divertì con delle bolle belle, grandi e durature. Riproponevo quella stessa ricetta dopo anni. E mentre in cucina univo detersivo e glicerina (sempre attento che – per cause oscure – potesse esplodere, notai che in soggiorno la TV era spenta. O si era spenta. O The Fabulous Peppa era in quell’episodio inedito in cui muoiono tutti e fanno dodici minuti di silenzio e showreel delle più belle scene della stagione. Invece la bambina, non costretta, né minacciata con misure restrittive o minacciata e basta, o scariche elettriche, niente, aveva spento autonomamente, aveva preso il libro che avevamo cominciato insieme il giorno prima, si era allungata sul divano e aveva cominciato a leggere. Erano sempre storie di animali tra cui – immancabili – i vari pigs. Ma la sua faccia concentrata, seria, il labbro morsicato, era qualcosa di commovente da vedere! Taci, papi. Il percorso è ancora all’inizio e i risultati si potranno vedere soltanto a lungo termine. Intanto… fatti più in là: leggo anch’io.
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