D’estate #33 (racconto minimo)

Questo breve racconto fa parte della mia collanina di racconti minimi dell’estate, comprendente storie brevi, non sense, memoires e altre leggerezze adatte al periodo. Per le informazioni, le domande o le ingiurie, cercatemi via mail o sui soliti canali social.

Cefalu-notte-2

Cefalù. Sera. Real life.

Un giorno d’estate di qualche anno fa ero seduto al tavolo all’aperto di un ristorante sul lungomare di questa bella città. Mentre il sole calava in mare e il cielo si colorava di prugna e poi di viola melanzana, aspettando pane, acqua e menu, notavo al tavolo di fianco un tizio con un grosso pastore tedesco. Il proprietario era uno di questi pacifici signori di mezza età con camicia rosa, pantalone bianco e pantofole (sì, pantofole) colorate e il cane inquieto.

«Zara! Zara!», diceva «Che c’è? Che hai?»

La cana si dimenava, colpendo con la grossa coda ispida le mie gambe nude, il tavolo, poi mi annusava, soffiava. Il nervoso.

La persona che era con me, un’antifascista all’epoca poco tollerante nei confronti dei cani e dei padroni, diceva:

«Senz’altro un fascio! Lascia che il cane faccia quello che vuole! qui c’è gente che mangia! E l’igiene! E il rispetto per gli altri!»

«Beh, ma si può chiamare Zara un cane?»

«Cioè, ma infatti! Per dire la superficialità di questa gente! E se ci hai un gatto allora come lo chiami? Kiko?»

«No, Zara come la città, la città dalmata… »

«Eh, il dalmata è un cane!»

La cana veniva vicina e mi annusava, poi girava strusciando il suo pelo saggino sul mio pelo morbidino dei polpacci. Una sensazione di disagio lungo la schiena, un anticipo di lingua di cane sulle ginocchia e nel piatto degli antipasti a beccafico.

«Zignore me la zcuzi» disse il tipo con la camicia rosa «lei però è buona! Ora zi mette al pozto suo e zta tranquilla»

Sorrisi clemente e ci fu silenzio tra i tavoli. Una bella brezza rinfrescava la calura agostana mentre la strada davanti alla spiaggia si riempiva di persone che strusciavano vanitose e abbronzate.

«Gli uomini ormai tutti depilati, hai notato?»

«M-mh» io non lo farò mai, pensavo. Siamo già piuttosto prigionieri dell’estetica, mo pure dell’estetista?

Si stava bene, la vacanza era appena cominciata. Tutto predisponeva al relax e alla bellezza: il neroblù confuso tra cielo e mare, il suono di una leggera risacca sulla sabbia davanti a me a dieci, forse venti passi dall’acqua.

«Viene voglia di andarsi a bagnare i piedi»

Sorrisi come a dire: «Dopo si va»

Ogni tanto un leggero tocco sulla caviglia, poi sulla gamba. Pensavo che non avrei dovuto rovinare quel momento rimproverando il signore chiedendogli di allontanare la cana dal mio posto e seguitai a guardare lunghi parei da donna e da uomo che coloravano il passeggio. Mentalmente presi a cantare una brutta canzone che faceva “Lei è Zara, fa male, ma porta quella cosa in più quando c’è poco sapore. A – Amooore”. Poi di nuovo mi sentii toccare le gambe e non poco, ma come se il cane si fosse accanito (come appunto dice la parola) annusando tra i miei peli scoperti, su e giù, e la caviglia e il ginocchio, e una gamba e l’altra.

«Oh! Basta!» mi scossi urlando verso il gagà che mi guardò con gli occhi di fuori e il suo flute di prosecco in mano. Il cane Sara però era al suo posto, immobile con il muso a terra. Mi guardai le gambe e con orrore vidi una marea di blatte che si arrabattavano per districarsi tra i peli! Buttai un grido muto e scappai tra la gente, agitando le braccia e saltando come se quei dieci, venti metri che mi separavano dal mare fossero infuocati, come Giucas Casella sui carboni ardenti! Superai la spiaggia e mi salvai SPLASH!

 

Michele Lamacchia

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