Un’altra vecchia storia di vino e sangue.

“Era semplicemente un miracolo, e all’interno del miracolo non c’è nulla di cui ci si possa stupire”

Amiche e amici, come state? Spero bene. Come sapete, da qualche tempo sto seguendo un lento e progressivo corso di recupero per superare l’astemìa (non so se si chiama così). E viste le feste, perché non una (breve) storia a tema alcolico?

La leggenda del santo bevitore di Joseph Roth, qui nella classica edizione Adelphi, è un racconto di fallimenti, pentimenti e redenzioni, in un loop perpetuo che accompagna il nostro protagonista, il povero Andreas, fino a (NO SPOILER! vabbè ma si può capire, dai…). Olmi ne ha fatto un film, vincitore del Leone d’oro. Non ne ho un buon ricordo, mi pare. Il libro invece mi era piaciuto.

Andreas è un povero vagabondo pietoso e alcolizzato che viene visitato da un buon samaritano che all’improvviso appare e gli offre dei soldi. La condizione è che, quando è possibile, il “santo bevitore” restituisca il debito facendo un’offerta alla chiesa di Santa Teresa di Gesù Bambino.

All’inizio, il povero mendicante non crede ai suoi occhi ma poi i miracoli continuano ad accadere nella sua vita: trova un lavoretto per due giorni, poi dei soldi per caso, poi incontra un suo vecchio amico diventato ricco e famoso, ritrova una sua vecchia fiamma… Ogni volta, si ripulisce, riparte con tutte le buone intenzioni ma, puntualmente, quando sta per restituire il suo debito, tra lui e Santa Teresa s’intromettono i vizi, e l’alcol e le donne lo riportano di nuovo squattrinato nel suo inferno.

Questa è stata l’ultima novella dell’autore di Giobbe e de La marcia di Radetzky e si dice sia anche autobiografica: Joseph Roth era un vagabondo che viveva in un luogo che non era il suo paese o la sua città. È sempre stato aiutato dai suoi amici ed è andato avanti a tentoni. E come Andreas, il protagonista della novella, anche Roth era un santo bevitore: aveva dedicato tutta la sua vita al bere, lo prese come un impegno santo e vi rimase fedele. Solo la fine era diversa e qui è strano, poetico. Roth sognava per sé una fine e questo è postulato nella novella. Un mese dopo aver finito questo racconto, Roth muore. E questo, pubblicato postumo, è il suo epitaffio: aveva quarantacinque anni (oddio, tipo me).

Qual è la morale: forse che a un edonista impenitente verranno date tante seconde possibilità, ma alla fine dovrà rispondere alla chiamata del mietitore e rendere conto? Non saprei. Nel frattempo, godetevi la vita! (responsabilmente)

E voi, avete letto il libro? E avete visto il film? E bere, state bevendo? Fatecelo sapere, vi si vuol bere cioè BENE!

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