Il mio intimo con Ammaniti

Amiche e amici come state? Spero bene. Ero qui che sistemavo foto, scontrini e altri ricordi delle mie vite precedenti passate a Roma e paraggi, quando mi sono imbattuto ne La vita intima, l’ultimo atteso romanzo di Niccolò Ammaniti pubblicato da Einaudi.

Come per Pino Daniele, Tarantino o certi contatti su IG a cui si destinano cuori a capocchia, la formulazione da parte mia di qualsiasi giudizio in merito sarebbe del tutto acritica e falsata da sentimenti altri quali la stima, l’amore, l’amicizia e tutte cose.

In quel tempo, Vincent Vega iniettava adrenalina intra-sternale a Mia Wallace, Kurt Cobain si era appena sparato lasciandomi senza un fratello e io riempivo quaderni coi miei strazi, con colori forti e duri contrasti. Scrivevo molto e leggevo il doppio, e quello che leggevo mi rimaneva addosso, appiccicato con la colla emotiva di quel periodo. Nulla parlava a me e come me. Arrivarono loro, i cannibali: giovani autori (italiani) che scardinavano gli schemi, che scrivevano nudo e crudo, descrivendo (inventando) situazioni che facevano sanguinare gli occhi dall’orrore e pisciare dal ridere, senza il pudore che la narrativa richiedeva: Aldo Nove, Tiziano Scarpa, Alda Teodorani, Luttazzi (amato e amo anche lui buonanima torna presto)… e lui, Niccolò Ammaniti. Pulp, dicono.

Niccolò Ammaniti, con la sua propria riconoscibile voce, l’ho sempre sentito come un amico. Quell’amico che ti prende il braccio e ti fa: “oh, non puoi capire che è successo l’altra sera!” e rimani tutto il tempo lì, come una bambola, ad ascoltarne il racconto. La vita intima segna il ritorno del mio amico Nicco dopo 8 anni di silenzio e, sia come sia, (“non puoi capire!”) in due giorni me lo sono bevuto.

Questo ampio cappello per giustificarmi, come se servisse, rispetto alle numerose critiche che ho letto di qua e di là, chi dice che una minestra riscaldata, chi dice che avrebbe potuto scriverlo chiunque, chi parla della protagonista come di un personaggio piatto, insulso.

Io invece ho amato Maria Cristina Palma, la donna più bella del mondo nonché moglie del Presidente del Consiglio. Una che di suo non ha più niente, meno che mai una vita intima: ogni telefonata, ogni movimento, ogni file deve passare attraverso i filtri della scorta, dello staff o del media manager. Nemmeno un nome suo, ha: Maria Cristina, Maria Cretina, Maria Tristina, Maria Pompina. “L’orfana, la sorella di, la moglie di, la madre di, la donna più bella del mondo. Quale verità può esserci in una realtà fatta di maschere e di strategie, da quelle politiche a quelle social, in cui le scelte vanno prese perché funziona, perché performa, perché dà visibilità” e tutto ciò viene triturato, cannibalizzato.

La storia è ben scritta, è divertente e, rispetto al possibile, anche misurata, con situazioni portate al climax e poi… Pochi gli eccessi grotteschi e surreali “alla Ammaniti” (forse è proprio il percorso artistico dell’autore), ma non mancano le occasioni per ridere come quelle per indignarsi o disgustarsi. L’ho provato in formato audio (fino al prossimo trasloco il grosso delle mie letture saranno in audio o e-book). Posto che del mio amico leggerei tutto, fino la lista della spesa o le linee della mano, ma questo l’ho trovato un bel libro, gradevole.

Anche nell’abbondanza di già visto e già sentito (le feste istituzionali alla Sorrentino, i tradimenti con le segretarie, l’alcool e le diazepine, le ville al mare, etc.), Maria Cristina è una persona in bilico che nella banalità narrativa della propria storia presente e passata, cercherà di trovare un senso per sé stessa e per la propria vita. La same old story? Sì. Ma la musica non è forse fatta di intere playlist suonate sul giro di Do? E no, non avrebbe potuto scriverlo chiunque, perché questa è proprio la voce del mio amico. E solo lui lo poteva scrivere così.

Michele Lamacchia

Le parole creano mondi

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