Le seghe mentali di Schnitzler

Amiche e amici buongiorno,

a cent’anni dalla sua seconda caduta da cavallo oggi vorrei ricordare Arthur Schnitzler. Scrittore, filosofo e medico austriaco, lo sento molto affine a me non per la pregevole scrittura ma in quanto grande segaiolo mentale.

Nei suoi racconti sperimenta l’artificio narrativo del monologo interiore esprimendolo attraverso il flusso di pensiero (macchinazione virtuosa tanto amata in quel periodo che va dalla seconda metà dell’800 per lui, dalla notte dei tempi per lei), affiancandosi alla narrazione psicologicamente completa e moralmente ambigua di Kafka, Rilke e Roth (l’altro).

Coevo di Freud, quest’ultimo gli invidiava il fatto che Schnitzler aveva maturato sul campo tanta inconsapevole esperienza sulle dinamiche della psicanalisi che lui invece aveva dovuto dannatamente studiare per molti anni (si capì più tardi che Freud invidiava delle cose un po’ a tutti – sì, abbiamo capito bene).

Qui sopra le nostre sempre amate edizioni Adelphi che per essere quasi tascabili (nei loden e nei montgomery ci stanno a pelo) presentano sempre gli angoletti un po’ smussatini.

In Gioco all’alba si usa il pretesto di una partita a carte che dura tutta una notte (più un po’) per ripagare dei debiti. Il denaro diventa il vettore dalla spensieratezza alla morte, dalla leggerezza alla tragedia. Desiderio, erotismo, cupidigia, vizio, fragilità, crudeltà: bellissimo.

Beate e suo figlio (Hugo) passano un periodo di vacanza al lago e, durante questo tempo, si alternano sui due livelli narrativi la cronaca dell’attrazione di suo figlio per una coetanea della madre (e viceversa: dell’infatuazione di Beate per un diciottenne) e le elucubrazioni malinconiche, drammatiche, sensuali, torbide e onanistiche della c.d. rispettabilità borghese.

Dei tre qui fotoimpressi, il più noto è sicuramente Doppio sogno, dal quale il gigantesco Stanley Kubrick ha ricavato il suo ultimo, incompleto film Eyes Wide Shut (ambientato negli anni’90 e terminato, a mio parere, in modo molto brutto e tirato via, con una stupefacente Nicole Kidman che chiude il film invitando un sempre più spaesato Tom Cruise con un laconico: “Scopiamo” – diosanto, tutto un discorso sui dialoghi interiori, il medioconscio freudiano, il Determinismo e lo Scetticismo compensato in una battuta e una chiusa così infelice). Una coppia apparentemente serena si trova una sera a confessarsi di aver provato rispettivamente attrazione per altre persone, cosa che sconvolge entrambi, turbandone drammaticamente gli equilibri (ma non è che vi devo raccontare il libro, perché avete già visto il film ed è molto aderente anche se, come si sa, mi è piaciuto molto di più il primo).

Ora scusate vado che tengo dei pensieri.

Michele Lamacchia

Le parole creano mondi

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