
Amiche e amici come state? Io bene. Stavo sorseggiando un infuso di bacche di goji e açai e guardando le macerie della mia chitarra improvvidamente smontata per ripararla, quando, annebbiato dalla rabbia verso me stesso, dallo sconforto e da ipotesi nichiliste riferite al mondo moderno che produce tisane al goji e all’açai, mi sono ricordato che proprio oggi ricorre il centesimo anniversario della prima sigaretta del giovane Albert Camus. Aveva cinque anni e già odiava se stesso, le canzoni voce e chitarra e tutto il genere umano.
Filosofo, scrittore, saggista, drammaturgo, attivista politico e uomo triste (in quanto intellettuale e quindi consapevole della propria condizione), passò la vita sentendosi costantemente estraneo alla società, alla natura, al mondo. Un po’ come si sentirebbe Fazio (ma senza tutte le voci culturali) se non fosse che, col tempo, gli hanno dato troppo culo e, ora, anche un programma su Rai Uno.
Nasce e cresce in una famiglia umile nell’Algeria francese ma, essendo di origine comunque europea, viene percepito laggiù come un privilegiato e quindi un “diverso”. In Francia è lo stesso: viene visto come “l’algerino”. E quindi questo cristiano (ateo) non ha mai pace.
L’essere Straniero è, per Camus, la sola condizione possibile per l’Uomo, che è straniero a tutto, anche alla natura. Per Camus le cose accadono. Questo senso di alienazione dalla propria coscienza lo leggiamo chiaro e solido in questo libro (qui nella foto una edizione anziana che, in un normale sabato mattina di degrado, avevo usato come convincitore contro una coppia di testimoni di Geova), dove il protagonista della storia, Meursault, risulta essere un tipo incapace quasi di qualsiasi emozione, indifferente alle tragedie che gli passano accanto, agli insulti, agli stimoli e a tutte le vicende quotidiane (esattamente come i Testimoni di Geova di cui sopra – che adoro e che saluto).
Gli muore la madre e lui rimane piuttosto indifferente alla cosa, fumando di fianco al feretro (il richiamo al fumo, l’infanzia eccetera) finché a distrarlo non arriva una donna, tale Maria, che lo ama follemente ma che per la quale lui prova solo un interesse fisico, distante, straniero. Come anche è straniero ai fatti quando un signore gli arma la mano e lui ammazzerà un magrebino senza percepirne affatto la gravità del gesto. Non vi dico come va a finire perché, a tutt’oggi, ci può essere qualcuno che non ha ancora letto Camus (si potrebbe parlare di spoiler se, per esempio, parliamo di come finisce il Vangelo*? – per dire un titolo piuttosto noto) *Lo so, non è un paragone, ma io personalmente ogni anno, con questa cosa del morto e risorto, sto sempre un po’ in pensiero perché (che ne sai?) metti che qualcosa va storto? Tipo il sangue di San Gennaro.
A ogni modo, non finisce bene per Meursault che, fino alla fine, non si rende conto del peso delle proprie responsabilità. Responsabilità che si può sentire solo e soltanto quando si ha la piena consapevolezza di ogni gesto, di ogni decisione. Ma che responsabilità puoi sentire, che consapevolezza se quello che succede accade?
Sì, sento già le vostre obiezioni e sono tutte per l’auto-assoluzione e quelle altre giustificazioni che vanno da “Che vuoi da me/è stata la mano”, “Non sei tu, sono io”, “Ti amo troppo”, “Devo ritrovare me stesso”.
Comunque Camus, per i suoi studi sui turbamenti dell’animo umano di fronte all’esistenza ottenne il Premio Nobel (mentre noi stiamo ancora qua a fotografarci i piedi).
Per Albert Camus l’unico scopo del vivere sta nel combattere le ingiustizie sociali e qualsiasi espressione di poca umanità perché, diceva: «Se la Natura condanna a morte l’uomo, che almeno l’uomo non lo faccia».
Siamo tutti stranieri.