Nel silenzio delle cose non dette

Amiche e amici come state? Io bene, solo un po’ scosso. Scosso perché stavo leggendo questo libro di Simona Sparaco, dove l’autrice descrive le ultime giornate, le ultime ore, gli attimi prima (e poi durante) della tragedia dal punto di vista dei protagonisti: persone.

Tempo fa, a Londra, un corto circuito partito da un frigorifero innescò un incendio feroce che distrusse la Grenfell Tower, causando 72 morti. L’incendio si sviluppò con rapida ferocia, avvolgendo l’intero edificio in soli 15 minuti.

(credit: presstv.com)

La cosa mi turbò perché mi portò immediatamente alla memoria di quando, una notte che ero ancora un ragazzino, il palazzo dove vivevo coi miei genitori prese fuoco. Noi, nel terrore, ci salvammo. La cosa non fu del tutto indolore perché, oltre alcuni feriti e intossicati, ci lasciò coi traumi dei sopravvissuti e tutti i suoi “What if“.

Simona Sparaco in questo Nel silenzio delle nostre parole (DeA Planeta), ovviamente romanzando e spostando idealmente i fatti in una Berlino accennata, ci porta dall’altra parte della cronaca, mettendoci in mano la vita delle persone coinvolte nell’incendio. Non numeri, ma nomi e cognomi, gesti piccoli e grandi, paure e pensieri, cose urgenti da dire. Si vive accumulando rancori o procrastinando soluzioni senza sapere che cosa può accadere e che, da un momento all’altro, tutto finisce e noi abbiamo ancora molto da risolvere.

Come in tanti drammi personali, cruciale sembra essere il conflitto con la Madre, cosa che l’autrice non esplicita ma che alla lettura appare evidente: Alice è partita dall’Italia e ha tante, molte cose da chiarire con la madre; Bastien vive con la mamma invalida e alla quale dovrebbe rivelare qualcosa di urgente ma per cui non ha ancora trovato il coraggio; Polina è una ex-ballerina classica che non accetta la trasformazione del suo corpo dopo la nascita del figlio, figlio di cui non sopporta il pianto, la presenza.

Il silenzio (assordante) delle nostre parole è, insieme ad alcuni altri cliché, qualcosa di dirimente all’interno di questo romanzo. Le parole non dovrebbero mai essere tenute per sé e i conflitti, nel bene o nel male, dovrebbero sempre essere risolti e presto. Perché non possiamo mai sapere quando arriverà l’incendio a portarsi via tutto.

Un libro che, dopo essere riuscito a tirarti (bene) dentro, nell’ansia dell’orrore che sta per compiersi, ti lascia un senso di doloroso torpore con il quale ci si trova a fare i conti.

(Questo libro mi ha trascinato in un loop di malinconia e tristezza, di lacrime anche, riportandomi alla mente questo episodio qui.)

Michele Lamacchia

Le parole creano mondi

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