
Amiche e amici, come state? Io disturbato. Sapete cosa ha fatto la pandemia? Ci ha risparmiato tutta quella tarantella di tamburelli che ci salutavano a ogni angolo delle strade di tutti i 96 comuni del Leccese. Cosa che, insieme a ulivi e muretti a secco e lu mare, lu ientu eccetera rappresenta, ormai, uno dei cliché più ritriti della narrazione salentina. Ma a proposito di Salento, ho appena finito di leggere Lei che non tocca mai terra, il nuovo libro di Andrea Donaera, pubblicato da NN Editore.
Miriam è in coma. Andrea la conosce appena eppure è innamorato di lei e la va a trovare sempre, le parla e sente (o crede di sentire) le sue risposte. Andrea non è visto di buon occhio dalla mamma di Miriam perché pare sia discepolo, seguace di Papa Nanni, personaggio oscuro di questa storia, un prete esorcista amato e odiato. Papa Nanni è zio di Miriam, quindi fratello di suo padre, Lucio, il sindaco del paese, che si dispera per la tragedia e si batte il petto per un segreto. Un segreto che (pare) tutti sanno e di cui nessuno vuole parlare.
Andrea Donaera semina poco per volta indizi e prove, costringendo il lettore in una danza alla scoperta di un – o del – perché delle cose, trascinandolo in un turbinio, un uragano di sensazioni disturbanti, dalle tinte dark della musica metal, dei riti ancestrali, delle candele accese, delle morti apparenti, delle notti nelle campagne del paesedimmerda. Perché non tutto è ientu, sule e mare, ma forte è l’altra faccia della medaglia: il Male. Il Male che si aggrappa a tutto e a tutti e che, pare, si sia aggrappato anche a Miriam, attaccata agli elettrodi dopo che una notte è stata investita da qualcuno, qualcuno che ha fatto perdere le sue tracce.

Non è stata una lettura facile, per me. E non perché ci sono importanti contaminazioni dialettali (quelle ormai le capisco). È stato tutto un complesso di cose: il tema (doloroso e tetro), la scrittura (così musicale che a volte l’impressione è che si sacrifichi la scorrevolezza narrativa a favore dell’impatto emotivo di certi passaggi), il font usato (non credevo che avrei mai avuto osservazioni da fare sul font ma invece sì) e le parole: come sapete, io vengo dalla strada e non sono certo uno che si scandalizza per un linguaggio un po’ ruvido ed esplicito, ma in questo libro il numero di (scusate il termine) cazzi e merde supera la somma di tutti i cazzi e tutte le merde che io abbia mai letto in tutti gli altri libri che abbia mai letto. Questo, senza offesa, mi ha frenato un po’.

Nel romanzo c’è tanta poesia e, a mio parere, è stato un peccato contaminarla così e così tanto con quel tipo di linguaggio e con quelle immagini così cruente. Ma forse è proprio quello lo scopo. Se ci pensi, tutto qui è contaminato: l’odore di pulito con l’odore del fritto, la sabbia dorata con i cocci di vetro, lu mare e lu ientu con il buio e il dolore.
Alla fine, quello che ti auguri e che l’amare riesca a essere più forte del Male e si torni a vivere, a sorridere, a ballare le tarantelle agli angoli delle strade e nelle piazze.
