Un bel tris di piani

Amiche e amici come state? Io stavo bene, poi ho visto un film e mi sono detto: “ma che è sta m*rda?”. Ma andiamo con ordine. Ero reduce dall’audio-lettura di Tre piani, il romanzo di Eshkol Nevo, l’opera diventata l’omonimo film di Nanni Moretti. Ma meglio il film o meglio il libro? I miei due cents.

Tre storie ambientate in una palazzina a tre piani nei sobborghi di Tel Aviv (per la pellicola, nel quartiere Prati di Roma) una per ogni piano, ciascuna con riferimenti minori alle altre due. L’autore, laureato in psicologia nonché figlio di una coppia di psicologi, attribuisce a ciascuna storia un senso, esemplificando in una metafora le basi della psicoanalisi di nonno Freud dell’Es, dell’Io e del super-io. Ci teneva a fare questa cosa.

Al piano inferiore, Arnon, un padre con scarso controllo degli impulsi, si confida con un amico del college circa l’anziano vicino di casa, probabilmente affetto da demenza, di cui sospetta abbia mire pedofile sulla sua giovane figlia. A un certo punto mena il vecchio, ha SPOILER una specie di storia sessuale con la nipote minorenne dell’anziano vicino, cerca sempre di auto-assolversi… È un racconto amaro: Arnon esprime un giudizio spaventoso dopo l’altro, tutto nella convinzione arrogante di avere ragione. Sicuramente non un personaggio simpatico che nel film di Moretti è interpretato da Scamarcio: ci sta. C’è da dire che per tutta la durata del film mi sono chiesto perché invece non abbiano scelto un attore vero, ma credo la scelta sia stata voluta poiché ha contribuito a renderlo quasi all’altezza di una qualsiasi puntata del più ben fatto Gli occhi del cuore.

Nella seconda storia una donna di nome Hani (nella trasposizione capitolina interpretata da Alba Rohrwacher) si confessa con un’amica in America. Mentre suo marito è via per uno dei suoi tanti viaggi (i vicini la soprannominano “la vedova”), riceve la visita del cognato Evatar in fuga dalla legge per gravissimi reati fiscali. Quest’ultimo si dimostra amorevole per i suoi due figli e seducente per lei, cosi anziché denunciarlo lei lo ospita in casa e… A questo punto entra però in gioco il narratore inattendibile che si sovrappone al terrore di Hani, e cioè quello di non saper più distinguere gli eventi reali da quelli immaginari e di finire con l’impazzire, come era successo a sua madre. Nota: a Tel Aviv ci sono i barbagianni, a Roma un corvaccio inquietante che in questo film, a mio parere, si gioca la palma di miglior attore insieme alla Buy.

Margherita Buy che è Dovra, la protagonista del terzo piano/racconto, il più corposo e complesso, quello rappresentante il super-io, ciò che incorpora i valori e la morale della società. Questa volta la confessione è rivolta alla segreteria telefonica, parlando direttamente al marito scomparso. All’inizio Dovra, giudice in pensione, crede di aver bisogno di lui come suo confidente, ma man mano che la storia va avanti diventa chiaro che si sta lasciando alle spalle non solo i suoi abiti giudiziari, ma anche i presupposti comportamentali che aveva dato per scontati nel suo matrimonio. In poco tempo, metterà in vendita il suo appartamento, sarà coinvolta in un movimento di protesta giovanile a Tel Aviv, incontrerà un uomo della sua età che sembra sapere molto su di lei e si recherà in una fattoria isolata nel deserto. Il viaggio di andata verso il futuro si rivela anche una resa dei conti con il suo passato, e soprattutto con gli errori che lei e suo marito hanno commesso nell’allevare il loro figlio disadattato, Arad (una storia tragica, ragazzi). Il finale è carico di speranza e assolutamente appagante.

Eshkel Nevo ha scritto un libro “alla Kundera”, dico io. Coi suoi personaggi imperfetti con la loro morale sempre in gioco e i loro sensi di colpa. Ciò che pensi è che la moralità è del tutto relativa e diventi un po’ più indulgente, con gli altri e con te stesso. E anche verso il film, alla fine. Molto alla fine.

Nell’audiolibro, invece, si nota l’assenza di Scamarcio: letto dagli stessi protagonisti del film (Giannini, Rohrwacher e Buy), il risultato finale è davvero pregevole.

Michele Lamacchia

Le parole creano mondi

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