Lo Yoga e l’arte di lasciarsi attraversare.

“Quando si medita, non si fa e soprattutto non si deve fare nient’altro che osservare. Osservare l’affacciarsi alla coscienza dei pensieri, delle emozioni, delle sensazioni. Osservarne il dissolversi. Osservarne le fondamenta, i punti d’appoggio, le linee di fuga. Osservarne il passaggio. Non fare corpo con loro, non scacciarli. Seguire la corrente senza lasciarsi travolgere. A forza di farlo, è la vita stessa a cambiare.”

Amiche e amici, come state? Io bene. Come sapete sto seguendo un lungo recupero per un trauma alla schiena, nulla che una disciplina seria e costante non possa aiutare a mettere a posto (anche se l’ortopedico ha detto che sarebbe meglio non fare nulla – esatto: NULLA, nemmeno passivo). Ma io sono dell’Ariete e quindi non mi sfidate mai. E qual è quell’attività che più delle altre richiede costanza e disciplina? No, non parlo di riuscire ad andare da Ikea di sabato in tempi di pandemia, ma di YOGA. Lo Yoga, però, non è solo una specie di ginnastica, di anti-aerobica: è meditazione, ascolto o, come dice il mio gommista “ri-equilibratura, convergenza”. Ed è più praticato di quanto si pensi.

Tra i vari seguaci di questa pratica troviamo Sting, Madonna, Gisele Bündchen, Bar Refaeli, Uma Thurman, Giacinto Auciello (il mio gommista, che saluto) ed Emmanuel Carrère.

“L’uomo che si ritiene superiore, inferiore o anche uguale a un altro non capisce la realtà.”

Yoga, pubblicato in Italia per Adelphi, è stata per me una delle letture più piacevoli degli ultimi tempi. Carrère è quel tipo di persona che sentiresti parlare per ore, che potrebbe raccontarti cos’ha mangiato a colazione e di Tachipsichia, di pensieri parassiti e sofferenza nevrotica, di condizione umana e di morte, di cadere e di rialzarsi. Di stare dritti, di fronte al sole. E non ti stancheresti mai. Sarà che nella mia testa a leggerlo era Omero Antonutti, il compianto narratore de Il favoloso mondo di Amélie (la fate mai questa cosa? Che voce ha il narratore nella vostra testa?)

“Qual è la differenza tra like e love? Se tu like un fiore, lo cogli. Se tu lo love, lo innaffi. chi ha capito questo, ha capito la vita.”

Chiuso il libro, che non è un saggio, non è un romanzo, forse un mémoire con appendici storico-politiche (questo tipico di Carrère, se si pensa al lavoro mostruoso di ricostruzione del passaggio dall’URSS alla Russia in Limonov, per esempio) il mio primo pensiero è stato: “Cazzo quanto è stato coraggioso!” mettere tutto sé stesso, la sua sofferenza, il suo dolore nero su bianco. Però, ripensandoci, Carrère non è stato coraggioso, e lo dice lui stesso. Ammette di essere un narcisista instabile assillato dal proprio ego (forse è proprio per questo che si espone? “Scrivo per diventare una persona migliore“, dice, ma anche “per poter essere acclamato e ammirato“), e che “la letteratura è innanzitutto il luogo in cui non si mente” e anche il “baluardo del mio ego“. Tutto è un equilibrio tra lo yin e lo yang. Tutto è parte del Sistema-Universo, dagli anziani cinesi che fanno Tai Chi al Parc des Buttes-Chaumont (li ho visti e devo ammettere che, all’epoca, affamato di dinamismo com’ero, quelle serie di movimenti mi hanno fatto sorridere, ora che so che col Tai Chi ci si può difendere e si può attaccare come con altre arti marziali non credo che li sminuirei) ai bambini abbandonati per strada nelle tratte dei migranti.

“Che suono produce una sola mano che applaude?”

Meditate per riuscire a farvi questa e tante altre domande!

Quello che nelle prime intenzioni voleva essere un resoconto sull’esperienza della meditazione si interrompe per tornare alla realtà, tra ricoveri ed elettrochoc, tra bevute e hotspot di immigrati disperati, reportage inutili in Iraq e grandi amicizie su sperdute isole greche. Piangi, sorridi, ti spaventi, inorridisci. Questo è. Questo è il viaggio. Anche per noi inseguiti, aggrediti dai cani neri. Questa è la vita.

Chiuso Yoga, ciò che ti rimane è un profondo senso di gratitudine. E la voglia di (provarci a) essere migliori.

“Capolinea. Sei tornato. Ti aspettavamo. Ci sei.”

Michele Lamacchia

Le parole creano mondi

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