Indeciso se dirgli “bye” o “ciao”, gli dissi “bao”.

Amiche e amici, come state? Prima di gestire una colonia felina (che, come qualcuno ha potuto verificare, ha contato fino a ventotto gatti più o meno di passaggio) ho avuto a che fare sempre e solo con cani. Fino al giorno in cui è successa quella cosa, poi niente più: basta cani. Ma ero un ragazzino e capivo soltanto pochi elementi emotivi, senza retrospettive: mi abbracciavo coi cani, giocavo coi cani, dormivo coi cani.

(Se vi può interessare cosa, il racconto è in fondo al post)

Chi invece ha avuto i titoli per parlare di cani è stato senza dubbio Konrad Lorenz, premio Nobel per i suoi studi sull’etologia. Dopo L’anello di Re Salomone (che, dice la leggenda, gli permetteva di parlare con gli animali) Lorenz a metà del ‘900 pubblica E l’uomo incontrò il cane, un centinaio di pagine da leggere in poche ore qui nella sobria versione ripresa anni dopo da Adelphi.

Un po’ saggio, un po’ memoire sulla scorta di episodi a lui accaduti, Lorenz comincia introducendo l’«incontro» fra l’uomo e gli antenati del cane, lo sciacallo e il lupo. Da quel contatto deriveranno le più complesse dinamiche che si sono stabilite nel corso della storia fra cane e padrone e lo scienziato prova anche a suggerire spunti sul ruolo degli allevatori, sul rapporto tra cane e bambini. Chi ha avuto un cane o ce l’ha finirà certamente per trovare qualcosa in cui vedrà sé stesso e il suo caro amico a quattro zampe: un libro leggero dove si alternano aneddoti piacevoli e analisi semplici sull’evoluzione del rapporto uomo-cane.

Un cane non è solo un essere che dipende da noi, e si fida di noi; la sua fedeltà è illimitata e questo non può lasciare nessuno indifferente, Lorenz stesso si imbarazza e si commuove dell’atteggiamento altruistico completamente gratuito che ci ripropone ogni giorno.

Si consideri, però, che il libro va contestualizzato in riferimento al periodo in cui è stato scritto, è stato redatto ed evidentemente dati approcci sono stati superati. Ad ogni modo, Lorenz, pur ammettendo che il rinforzo positivo sia preferibile alle punizioni, non esita a dare suggerimenti come: “l’unico sistema per curare in modo radicale un cane dal vizio di allontanarsi è sparargli dietro con una fionda ogni volta che sta per scappare”.

Naturalmente non c’è nulla di male nel fatto che una persona molto sola, che per qualche sua personale ragione soffre della mancanza di contatti umani, si prenda un cane per soddisfare un intimo bisogno di dare e ricevere amore. Davvero non ci si sente più soli al mondo se c’è almeno una creatura che ci fa festa quando torniamo a casa.

E io non ho più un cane da quando, molti anni fa, ero legatissimo a un cane lupo, Ivan. Era come un fratello per me. Ci dormivo insieme, per dire. L’unica cosa: non sopportava le tute da ginnastica. Infatti, quando facevo educazione fisica mi tratteneva i polpacci e non mollava finché non gli aprivo le ganasce con le mani. Era un cucciolone curioso e quando si apriva il cancello, lui scappava fuori per strada, faceva un giro dell’isolato e rientrava alla base. Spesso passava davanti a casa di una vecchia che, puntualmente, faceva un casino che la metà bastava perché il cane deve stare legato eccetera eccetera. Ma (come tutti quelli che hanno un cane lo sanno) il cane è buono e non fa male a una mosca e bastava lo chiamassi che lui tornava, ovunque fosse. Un giorno la vecchia fece venire a lamentarsi il figlio che prese a dire che il cane aveva strattonato, buttato a terra e morso la signora. Il giorno dopo, Ivan venne portato via e abbattuto. Piansi così tanto che non volli mai più un cane. La vecchia invece stava bene, era a stendere i panni in giardino, come sempre: si era inventata tutto.

Michele Lamacchia

Le parole creano mondi

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