Amiche e amici, come state? Quest’anno il campionato è cominciato in concomitanza con le letture estive e io, palle a terra come certi terzini fluidificanti, riprendo a scrivere. Eviterei la solita non-recensione per parlare con voi di un fenomeno tutto contemporaneo che, in molte occasioni, mi ha coinvolto personalmente e che semplificherei in fasi:
- acquistare un libro convinti da un poderoso passaparola sui social che ne intesse le lodi sperticate;
- leggere il suddetto libro una prima, una seconda volta perché “ehm…”, “forse sono io che non sono entrat* nel mood”, “ca**ocosa sto leggendo?”;
- realizzare di aver letto qualcosa di brutto/palloso/inutile e maledire con tutte le forze la propria ingenuità nell’aver assecondato la bolla e le voci;
- per assolversi dalla perdita di tempo e/o di denaro speso, assecondare il passaparola sui social intessendo lodi sperticate circa il libro appena letto e chiudere il cerchio.
Questi titoli sono tra noi, anche se stentiamo ad ammetterne la presenza. Un po’ per pudore, un po’ per auto-inganno (in minima parte, per gusto non disputandum est).
Tra gli esempi validi per me, il recente Premio Strega Spatriati (di cui la non-recensione in cui ho espresso le mie perplessità beccandomi l’odio di amici e parenti – non miei), il meno giovane e abbandonato con sdegno Lo strano caso di Harry Quebert e questo qui, Stoner, capolavoro dell’americano John Williams.
Stoner, in inglese “sballato”, “tossico” è un professore universitario. Poverissimo campagnolo di nascita, si trasferisce in città dove scopre la vocazione all’insegnamento e questa sarà l’unica cosa degna di nota della sua vita. Spoiler? Assolutamente no.
Il passaparola più onesto della storia: “Il racconto della piatta vita di un uomo”; “non succede mai niente”; “è lento, lentissimo”. Bene, quindi? “È il suo bello”. Okay.
Ricordo un racconto letto anni fa su Flanerí, s’intitolava Rassicurante come un cane brutto. Forse è questo: Stoner piace perché rassicurante. Sai già che quello che ci troverai dentro. Brutto? Può darsi. Ma siccome sei un ottuso, santommaso-lettore, devi infilare il tuo dito nella costola del volume e verificare di persona. Dopo una prima e una seconda lettura posso dire che Stoner è quello che vuole essere: una palla esagerata. E qui arriviamo al tema di queste righe, ai social e alla loro responsabilità.
A parte i fan delle palle esagerate (il degustibus di cui sopra), per tutti gli altri shame on them perché (ok, seri) con tutta la buona volontà, ma non si può giustificare una media di quattro stelle e mezzo su cinque se non con la voglia di auto-assolversi o, alla peggio, con la pietà per un uomo dalla vita così piatta da far sembrare la nostra, quella di chiunque, come le montagne russe emotive per i tifosi dell’Inter.
Non racconterò la storia inutile di Stoner né mi soffermerò sulla scrittura noiosa e banale, gli spiegoni su ogni cosa, anche sugli stessi spiegoni, anche sulle trame psicologiche, sui dialoghi amatoriali, sui dettagli superflui, sui personaggi assai poco credibili (un cenno a un matrimonio con una donna vista appena, senza carattere o vita, con cui non ha nessun tipo di dialogo o rapporto e che, da un giorno all’altro SPOILER! boh?!, ha uno scatto e diventa una specie di cinica Miss Hyde che toglie a Stoner l’amore della figlia, lui se lo lascia togliere senza batter ciglio, poi la figlia ormai grande che sparisce nel nulla manco un grazie ma si sa i figli sono così signora mia ciao) FINE DELLO SPOILER.
La colpa, Vostro Onore, non è però di John Williams ma, come accade per quella pletora di libri ingiustamente promossi come già detto, i responsabili SIETE VOI, lettori e recensori da cinque stelle che verrete numerosi a contestarmi. Mi assumo quest’onere, quindi: venitemi a dire.
Portato in Italia da Fazi nel 2012, Stoner viene riproposto anni dopo da Mondadori in questa nuova veste color oro o mostarda, che confonde il lettore sempliciotto (tipo me) che lo prenderebbe decisamente per un giallo da spiaggia, magari dalla suspense mozzafiato e gli attesi colpi di scena. Nulla di tutto ciò e nemmeno la possibilità di uscire dalla sala.
Ma rispetto alla precedente, l’edizione Mondadori riporta in appendice un’interessante raccolta di lettere editoriali, corrispondenza tra l’autore John Williams, l’agente Marie Rodell e vari ed eventuali editori. Dallo scambio di questi dispacci si rileva l’onestà di Williams, professore universitario come il suo protagonista, nel perseguire il sogno di pubblicare il romanzo. Il manoscritto viene rimbalzato e rifiutato da molti editori (e si potrebbe capirne il perché), viene editato, gli viene cambiato il titolo, vengono destrutturati e ristrutturati i personaggi: niente, non convince. Le risposte degli editori, che chi scrive conosce bene, sono del tenore de: “ha provato a cambiare personaggi, trama, finale?”, “Il fatto che non pubblicherà con noi non significa che non sia un buon libro è solo che lo avremmo preferito diverso”, “è scritto bene ma non rientra nelle nostre linee editoriali”, “è bello ma non balla”, “grazie, le faremo sapere”.
Nella corrispondenza ritroviamo la sobrietà distinta del John Williams professore, ci fa tenerezza nell’auto-descrizione nel suo curriculum e qui descrive Stoner, plausibilmente il suo alter-ego: “un fallito, come insegnante non ha molto successo; è uno dei membri più anonimi del suo dipartimento; la sua vita privata un disastro; […]. Ma il nocciolo del romanzo è che si tratta di una specie di santo”. Non so che idea tu abbia della santità, piccolo John, ma basta farsi un giro alle Paoline per capire che sei distante dalla realtà e i santi la santità se la guadagnano sul campo per merito e non per stare là tanto per stare. Che poi, si piangesse addosso: manco quello!
Ma da dove arriva il successo di Stoner? Pubblicato nel ’65 dopo la lunga serie di rifiuti di cui sopra, viene ritirato appena l’anno dopo, dopo aver venduto duemila copie. Viene riproposto a distanza di anni in edizione economica da diversi editori, nel’72, nel ’98, nel 2003 e nel 2006, sempre senza lasciare il segno. Poi accade che, fortuitamente, il romanzo viene tradotto in Francia dalla prolifica e nota giornalista Anna Gavalda diventando, grazie a un robusto passaparola sui social (fino ad allora non ancora inventati) un vero e proprio caso editoriale. Un romanzo (non a caso) dimenticato per quarant’anni che improvvisamente torna a far parlare di sé esercita senza dubbio una forte attrazione per i lettori di tutto il mondo. Viene tradotto in tutto il mondo: un best seller. Il New Yorker lo definisce “Il più grande romanzo americano di cui non avete mai sentito parlare” e paragonandolo addirittura a Il grande Gatsby di Fitzgerald EH NO A TUTTO C’È UN LIMITE ADESSO BASTA!
Stoner è una specie di ectoplasma che attraversa un certo periodo di tempo nello spazio senza lasciare nulla, nessuna traccia di sé su nessuno, nemmeno sullo stesso lettore. E purtroppo non ci ho trovato niente: dialoghi brillanti, umorismo, un guizzo, niente. Ho letto alcune recensioni che parlavano di “miglior libro dell’anno”, “uno dei libri più belli mai letti”. Io non so cosa dirvi, sinceramente.
L’impressione che si ha all’inizio della lettura è quella di trovarsi davanti a un capolavoro, scritto bene e tutto, e quindi io vi consiglio di leggerlo e di farvene un’idea. Dopo le prime pagine però, io ho cominciato a rovesciare gli occhi all’indietro chiedendomi il perché non smettessi di leggere, ipnotizzato da quella scrittura innocua e scialba ma è il suo bello: è rassicurante come un cane brutto.
E poi c’è quella cosa che vuoi capire: come mai anche lettori dalla scorza dura abbiano deciso di premiare questa palla con cinque stelle. Sarà per il tam-tam sui social, sarà per autoconvincimento, sarà perché dentro quella scorza anche i lettori più duri hanno un cuore tenero.